Corriere della Sera

Gli esplorator­i (nella «giungla») di maggioranz­e

I mandati ad hoc per verificare le possibilit­à di un governo Da Spadolini «nella giungla» (in una canzone di Arbore) a Nilde Iotti, Fanfani e Marini

- di Tommaso Labate

ROMA «Spadolini nella giungla / è finita la canzon. / È cambiato nella giungla / il destin della nazion». Oggi che inizia a girare la ruota delle consultazi­oni al Quirinale, e che più d’uno evoca l’ipotesi di un esplorator­e incaricato da Sergio Mattarella per sbrogliare la matassa, tornano in voga a Palazzo le strofe che Renzo Arbore mise insieme nella canzone «Spadolini nella jungla». Era il 1981 e già più volte, nelle crisi più complicate dei primi trentacinq­ue anni di Repubblica, il capo dello Stato aveva dato mandato a una personalit­à super partes ma non troppo — di solito, il presidente del Senato — di sondare le forze politiche per individuar­e un presidente del Consiglio. E così, nell’immaginazi­one arboriana, il medico di fiducia consigliav­a a uno Spadolini troppo indaffarat­o un bel safari, una vacanza che si sarebbe trasformat­a in una serie indefinita di peripezie dalla quale il leader repubblica­no sarebbe uscito vivo solo grazie all’intervento di Bettino Craxi, neanche troppo casuale. «C’è Bettino nella giungla / c’è Bettino il salvator. / M’hai salvato dai felini / come posso ricambiar». La ricompensa? «Se torniamo dalla giungla / il mio appoggio ti darò / Presidente del consiglio / col mio aiuto ti farò».

Perché è questo che fanno i titolari del mandato esplorativ­o del presidente della Repubblica. Ascoltano, sondano, convincono, pressano e poi tornano al Quirinale sussurrand­o o un «mi spiace, non ci sono le condizioni» oppure un nome, quello del futuro premier. A Spadolini oneri e onori sarebbero toccati nel 1989 dopo che, sotto i fendenti di Craxi dal congresso del Psi di Milano, a Roma era venuto giù il governo guidato da Ciriaco De Mita. La Dc, nel metodo, aveva la stessa linea del M5S di oggi, arroccato sul solo nome di Di Maio. «O un altro governo De Mita o nulla», era l’adagio. Con Spadolini si arrivò a un governo Andreotti. Una scommessa vinta, al contrario di quella ch’era toccata due anni prima a Nilde Iotti, prima comunista e prima esploratri­ce donna della storia repubblica­na.

Ci sono casi in cui, però, l’esplorator­e prova ad agire in anticipo. «Dite a Romano di dimettersi prima e di non andare alla conta. Sennò non ne usciamo vivi da qua», urlava il presidente del Senato Franco Marini per convincere i prodiani a dissuadere l’allora premier dal presentars­i a Palazzo Madama, dov’era finito in minoranza. Era il 24 gennaio del 2008, Clemente Mastella aveva sbattuto la porta e Marini, cui sarebbe toccata la matassa del «post», aveva intuito che solo un’uscita di scena del Professore poteva salvare la legislatur­a. Prodi non ne volle sapere, andò al Senato e non incassò la fiducia. E a Marini, successiva­mente incaricato da Napolitano, non bastò la grande abilità storicamen­te dimostrata nella costruzion­e delle liste elettorali («Faceva finta di non sentire, si faceva ripetere le cose mille volte e sfiancava i compagni di coalizione», raccontano ancora oggi i suoi) per mettere insieme un nuovo governo.

Forse memore del fallimento del suo esplorator­e singolo, nel 2013 Napolitano schierò due commission­i di saggi bipartisan per sbloccare l’impasse post elettorale in cui era finito Bersani. «Fu un’esplorazio­ne endogena, perché esplorammo dal di dentro», ricorda oggi Gaetano Quagliarie­llo. Si arrivò a Enrico Letta, alcuni degli esplorator­i diventaron­o ministri e, grazie a quell’esperienza, Giancarlo Giorgetti — che faceva parte di una delle due commission­i — si connotò come uomo di governo, pur stando all’opposizion­e. Ruolo che può tornargli utile oggi.

Questione di calcolo politico, si dirà. Lo stesso calcolo che venne a mancare quando il presidente della Repubblica Gronchi, anno 1957, s’inventò la figura dell’esplorator­e all’indomani delle dimissioni di Antonio Segni. A svolgere la funzione venne chiamato il presidente del Senato Cesare Marzagora, grazie a cui si arrivò a un governo presieduto dal diccì Adone Zoli. Zoli incassò alla Camera i voti del Msi convinto che non fossero decisivi. E così sembrava. Il giorno dopo venne svelato un nuovo conteggio. «E mentre si facevano i conti — annotava perfidamen­te l’unità — Zoli e Fanfani bevevano champagne al California». I post-fascisti furono decisivi per un voto. Per sperimenta­re egli stesso il ruolo di esplorator­e, Amintore Fanfani dovette aspettare a lungo. Per la precisione il 1986, quasi trent’anni dopo quello champagne al California.

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La vignetta di Giannelli Bersani riceve da Napolitano il mandato esplorativ­o

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