Corriere della Sera

La ricchezza a due velocità

- di Federico Fubini

Il patrimonio degli italiani è sempre più diviso in due. Le risorse delle dieci famiglie più ricche equivalgon­o a quelle di 18 milioni di italiani. a pagina 31

Pochi altri tratti definiscon­o gli italiani come la loro ricchezza familiare. Questo è un Paese di padri, madri, zii e nonni dediti al risparmio, in misura diseguale e non solo fra i suoi diversi ceti. Con il tempo le disparità patrimonia­li sono emerse anche fra le diverse parti dell’economia nazionale: uno Stato profondame­nte indebitato, aziende spesso dotate di scarsi capitali propri, ma famiglie più ricche (e meno gravate dai mutui) di quelle che guadagnano in modo comparabil­e in Germania, in Francia, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

Una società di formiche che accettano di vivere in uno Stato ridotto alle condizioni di cicala: se questa è l’immagine che l’italia ha di sé, forse è ora che cambi. Ma non perché i problemi del debito pubblico stiano diventando meno gravi. È l’altra parte dell’equazione a vivere una metamorfos­i in profondità. L’ultima Indagine sui bilanci delle famiglie pubblicata il mese scorso dalla Banca d’italia ha seminato un indizio: i circa 20 mila residenti inclusi in quel sondaggio hanno testimonia­to — nel complesso — di una perdita di valore dei propri averi. ricchezza familiare netta da 5.268 miliardi. Equivale a oltre tre volte il reddito nazionale e a quasi due volte e mezzo il debito pubblico.

Queste grandezze però non dicono nulla di ciò che conta veramente per un italiano che guadagna, risparmia e almeno ogni cinque anni elegge il Parlamento: come questi numeri sono cambiati per lui, o lei. In realtà lo hanno fatto in modo drastico, in entrambe le direzioni.

Le statistich­e

Le risorse delle 10 famiglie più ricche equivalgon­o a quelle di 18 milioni di italiani

Chi aveva meno all’ingresso nella Grande recessione, fra il 2006 e il 2016, ha visto i propri piccoli risparmi venire falcidiati ulteriorme­nte; ciò è vero per gran parte degli italiani, ma è accaduto con tanta maggiore intensità quanto più le famiglie appartenev­ano a gruppi sociali meno abbienti. Chi si trova nella parte più bassa della distribuzi­one dei patrimoni familiari — il secondo ventesimo — ha visto questi ultimi ridursi in proporzion­e oltre quattro volte più dei ceti medi. Più si era patrimonia­lmente in basso nel 2006, più si è perso terreno. Al contrario, all’estremità opposta, solo un gruppo ha visto la propria ricchezza aumentare in fretta in questi anni: le dieci famiglie già più ricche, quelle classifica­te da Forbes perché nel 2016 contavano averi per 86,4 miliardi di euro nel complesso. Nel 2006, la loro ricchezza equivaleva a quella dei 14 milioni di residenti in Italia meno abbienti; nel 2016 è pari a quella di quasi 18 milioni di residenti. Dieci famiglie valgono patrimonia­lmente come un terzo del Paese.

Non è stato un trasferime­nto di ricchezza da chi non ha a chi ha. È tutto più complesso, perché riguarda il rapporto degli italiani con l’esterno: con i mercati mondiali e la globalizza­zione. I più ricchi ne hanno tratto quasi solo benefici, i meno abbienti quasi solo gli svantaggi. Gli italiani più facoltosi di oggi infatti non rappresent­ano un’élite di parassiti e redditieri, ma in gran parte esportano prodotti competitiv­i che il resto del mondo vuole comprare: il cioccolato Ferrero, gli occhiali di Leonardo Del Vecchio, gli elettrodom­estici De’ Longhi, la moda di Giorgio Armani, le caramelle Perfetti. Dal 2006 al 2016 il patrimonio netto di questo gruppo di 10 famiglie è esploso da 46 a 86,4 miliardi, più 72% anche stimando l’erosione di valore da inflazione.

Il grafico in pagina mostra la realtà del resto del Paese, quello che il mese scorso ha votato. Il secondo 5% di famiglie meno abbienti (il primo 5% possiede solo debiti netti) ha visto i propri risparmi crollare del 63% in termini reali; il terzo 5% del 51%, e così via. La caduta è progressiv­amente più profonda per il 30% degli italiani più poveri: spiazzati dalla crisi finanziari­a globale e magari dal trasferime­nto del loro lavoro verso la Slovacchia o la Cina — spesso senza casa di proprietà — questi italiani hanno consumato i pochi risparmi per vivere. Intanto i ceti medi e elevati vedevano il valore del proprio patrimonio diminuire del 15% circa: un’erosione di valore reale pari a quella determinat­a dall’inflazione. Molti in questi strati medio-alti hanno continuato a risparmiar­e, sì, ma il valore delle loro case in media è continuato a scendere: quasi inevitabil­e, in una nazione dove la crisi demografic­a, la frenata dell’immigrazio­ne e l’emigrazion­e dei giovani riduce pian piano la domanda di spazi abitativi un po’ come la goccia scava la roccia.

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