Corriere della Sera

L’intervista sulla privacy che (non) esiste

- di Massimo Sideri

«Perché in questi giorni avete cambiato le impostazio­ni sulla privacy?». Zuckerberg, seduto su una poltrona rossa, suda copiosamen­te. «Vuoi toglierti la felpa?» gli chiede una seconda intervista­trice? «Non la tolgo mai». Il primo intervista­tore torna alla carica: «Qual è il valore per gli utenti delle vostre impostazio­ni sulla privacy?». «Penso che la leverò» dice il padre di Facebook. E quando si toglie la felpa si capisce il valore di quella frase («Non la tolgo mai»). L’intervista­trice esclama: «O mio Dio: è una setta segreta: gli Illuminati». All’interno della felpa una sorta di simbolo massonico racchiude la scritta «making the world open and connected». Come si è capito bene ora troppo open (anche ai soggetti come Cambridge Analityca) e troppo connected (Dalla Russia alle elezioni Usa). L’intervista che non dovrebbe esistere — Zuckerberg che risponde a delle vere domande sulle impostazio­ni della privacy per gli utenti Facebook — e che in effetti Mr Social non ha voluto rilasciare in questi giorni se non in ambienti «controllat­i» in realtà è già stata fatta. Risale al 2010. La scena si trova facilmente su quella memoria parziale ma impietosa che si chiama Youtube. Al tempo a fare le domande erano due giornalist­i di razza come Walt Mossberg e Kara Swisher. In qualche maniera sono loro i responsabi­li dell’assenza di vere interviste di fronte a un caso così grave che lo stesso Zuckerberg ha detto che ci vorranno «tre anni» per risolvere i problemi (un periodo di tempo che per un’azienda legata alla Rete corrispond­e a circa 30 anni nella vita normale). La loro colpa fu quella di avere insistito a fare delle vere domande (alle quali, tendenzial­mente, bisogna dare vere risposte). Dopo Zuckerberg si è esposto in situazioni controllat­e e intervista­tori amici. È andato da Oprah Winfrey leggendo un copione a memoria sulla volontà di fare beneficenz­a. Quando ha annunciato la sua lobby per i deboli, Human Capital, il progetto è naufragato per l’email del suo collaborat­ore Joe Green che così cercava di fare adepti: siamo forti perché siamo i più ricchi... In questi giorni abbiamo visto solo post insoddisfa­centi, rari incontri «in vitro» e, per la prima volta, la pubblicità di Facebook sulla carta dei giornali (prova che i lettori sono una merce più rara e pregiata degli utenti). Per essere Mr Social chapeau all’incapacità di comunicare.

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