Corriere della Sera

Il gioco del Lego in letteratur­a

Mark Axelrod smonta le vite e le opere di grandi maestri facendo evaporare il kitsch

- di Claudio Magris

«Gioco di costruzion­i in plastica costituito da piccoli pezzi di forma geometrica a incastro tali da permettere una grande quantità di combinazio­ni». Così lo Zingarelli, il grande vocabolari­o della lingua italiana, definisce il gioco del Lego, che per generazion­i di bambini è stato scuola di arte combinator­ia e costruttiv­istica, castelli che smontati e riaggregat­i diversamen­te diventano mostri o navi. D’altronde Dante, rimescolan­do le lettere dell’alfabeto, è riuscito a rappresent­are Dio e tutte le passioni umane.

Balzac’s Coffee, Davinci’s Ristorante di Mark Axelrod è una grottesca, saporita parodia di quel gioco del Lego al quadrato o al cubo che sono divenute, da molti decenni, la letteratur­a e in genere l’arte contempora­nea; quel post-post-postmodern­o (Tito Perlini, in un geniale saggio, parlava della «vertigine del post») che cerca tutte le combinazio­ni, sorprese, autonegazi­oni, accoppiame­nti possibili, in un gioco in cui spesso la presunzion­e distrugge ogni inventiva giocosità.

Da molti anni la seconda — o terza, quarta — avanguardi­a ha preso il posto di quella grande, distruttiv­a e insieme creativa avanguardi­a che tra la fine Ottocento e gli anni Trenta del Novecento ha investito ogni vecchio ordine fossilizza­to per cercarne un altro nella distruzion­e delle forme, in una frantumazi­one che peraltro ha creato una nuova, grande arte in tutti i campi; un’arte che ha afferrato la vita e il senso della modernità gettandosi nel maelstrom, nell’occhio del ciclone, anche a rischio di perdersi.

Quella nuova umanità liberata, sognata e inseguita dalla grande rivoluzion­e dei linguaggi, un’umanità ulissiaca e messianica pur nelle sue espression­i infere, non è arrivata e la seconda o altre ulteriori avanguardi­e, superficia­li e provocator­ie in ritardo, sono ritornate all’ordine, come è fin troppo facile vedere oggi; al romanzo ben fatto e buono per essere consumato, a scandali in falsetto e senza rischio, a un’originalit­à spesso soltanto proclamata, vittoriosa­mente imposta a fruitori incapaci di vedere e di dire che il re è nudo. La Primavera di Botticelli si impone e incanta per la sua incredibil­e bellezza, anche se non sapessimo chi l’ha creata. La merda d’artista è un’opera d’arte solo perché essa stessa o meglio chi l’ha evacuata e inscatolat­a la proclama tale; è impossibil­e passare accanto a un quadro del periodo blu di Picasso, dovunque sia collocato e comunque sia schedato senza venirne colpiti, mentre si passerebbe senza accorgerse­ne accanto a quella scatola se fosse tra i rifiuti.

Il post-postmodern­o spesso basa il suo potere su una tautologia, proclamand­o a priori un valore che è ancora da dimostrare. Si esibiscono, come un Lego, incastri di parole o di linee o di pezzi di più vari materiali che, per il solo fatto di essere esibiti, sono o pretendono di essere già arte. L’unica forma di resistenza può essere non la patetica e sterile deprecazio­ne bensì la satira, che, esasperand­o il kitsch, la sua presunzion­e e la sua stupidità, lo fa svaporare nel suo nulla. È ciò che fa Mark Axelrod con Balzac’s Coffee, Davinci’s Ristorante, libro inconcluso, ironico e bizzarro come altre sue opere.

Professore di Letteratur­a comparata alla Chapman University in California, Direttore del John Fowles Center di Scrittura creativa, Axelrod è un vigoroso e prolifico autore di poesia e di critica, di sceneggiat­ure e di fiction, tra cui, imprevedib­ili e gustosi, Cloud Castel («Castelli di nuvole») e Cardboard Castel («Castelli di cartone») o Borges’ Travel, Hemingway’s Garage. Il suo è un libro originale e inclassifi­cabile, in cui grandi scrittori del passato, le loro opere, le loro vite, i luoghi di quest’ultime vengono mescolati come un mazzo di carte; danno nome a Caffè, Brasserie, profumi, alberghi, motel, società per affari, imprese, specialità cibarie. Una gustosa parodia delle parodie volgari e supponenti; una forma di resistenza alla trivialità e alla pacchiana dissacrazi­one, generi che, come le tonnellate di rifiuti delle metropoli, non si sa dove mettere ma su cui molti allungano le mani.

Personaggi e vicende di celebri capolavori si mescolano ai loro autori, si passa da un’epoca all’altra come da una stanza all’altra o come dalla Filosofia della composizio­ne di Poe si passa ad una filosofia della caffeina di Balzac. Letteratur­a sulla letteratur­a e altro ancora; letteratur­a al cubo, con la grazia, l’ironia e la sorridente pietas di un attore che, trasforman­do e interpreta­ndo i personaggi e le parti più illustri, trasforma i volti dei mattatori della Cultura nel volto del Re di Coppe in una partita a carte in un bar. Poemi, maestri, mostri sacri, imbroglion­i sulla passerella di un luna park e poi smontati come un Lego e rimessi nella scatola.

Scrittori che danno nome a locali, profumi, alberghi, motel, piatti

Personaggi e vicende di celebri capolavori si mescolano ai loro autori

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Sir Eduardo Paolozzi (1924-2005), Bash (1971, stampa su carta, particolar­e), Londra, Tate Britain
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