Il gioco del Lego in letteratura
Mark Axelrod smonta le vite e le opere di grandi maestri facendo evaporare il kitsch
«Gioco di costruzioni in plastica costituito da piccoli pezzi di forma geometrica a incastro tali da permettere una grande quantità di combinazioni». Così lo Zingarelli, il grande vocabolario della lingua italiana, definisce il gioco del Lego, che per generazioni di bambini è stato scuola di arte combinatoria e costruttivistica, castelli che smontati e riaggregati diversamente diventano mostri o navi. D’altronde Dante, rimescolando le lettere dell’alfabeto, è riuscito a rappresentare Dio e tutte le passioni umane.
Balzac’s Coffee, Davinci’s Ristorante di Mark Axelrod è una grottesca, saporita parodia di quel gioco del Lego al quadrato o al cubo che sono divenute, da molti decenni, la letteratura e in genere l’arte contemporanea; quel post-post-postmoderno (Tito Perlini, in un geniale saggio, parlava della «vertigine del post») che cerca tutte le combinazioni, sorprese, autonegazioni, accoppiamenti possibili, in un gioco in cui spesso la presunzione distrugge ogni inventiva giocosità.
Da molti anni la seconda — o terza, quarta — avanguardia ha preso il posto di quella grande, distruttiva e insieme creativa avanguardia che tra la fine Ottocento e gli anni Trenta del Novecento ha investito ogni vecchio ordine fossilizzato per cercarne un altro nella distruzione delle forme, in una frantumazione che peraltro ha creato una nuova, grande arte in tutti i campi; un’arte che ha afferrato la vita e il senso della modernità gettandosi nel maelstrom, nell’occhio del ciclone, anche a rischio di perdersi.
Quella nuova umanità liberata, sognata e inseguita dalla grande rivoluzione dei linguaggi, un’umanità ulissiaca e messianica pur nelle sue espressioni infere, non è arrivata e la seconda o altre ulteriori avanguardie, superficiali e provocatorie in ritardo, sono ritornate all’ordine, come è fin troppo facile vedere oggi; al romanzo ben fatto e buono per essere consumato, a scandali in falsetto e senza rischio, a un’originalità spesso soltanto proclamata, vittoriosamente imposta a fruitori incapaci di vedere e di dire che il re è nudo. La Primavera di Botticelli si impone e incanta per la sua incredibile bellezza, anche se non sapessimo chi l’ha creata. La merda d’artista è un’opera d’arte solo perché essa stessa o meglio chi l’ha evacuata e inscatolata la proclama tale; è impossibile passare accanto a un quadro del periodo blu di Picasso, dovunque sia collocato e comunque sia schedato senza venirne colpiti, mentre si passerebbe senza accorgersene accanto a quella scatola se fosse tra i rifiuti.
Il post-postmoderno spesso basa il suo potere su una tautologia, proclamando a priori un valore che è ancora da dimostrare. Si esibiscono, come un Lego, incastri di parole o di linee o di pezzi di più vari materiali che, per il solo fatto di essere esibiti, sono o pretendono di essere già arte. L’unica forma di resistenza può essere non la patetica e sterile deprecazione bensì la satira, che, esasperando il kitsch, la sua presunzione e la sua stupidità, lo fa svaporare nel suo nulla. È ciò che fa Mark Axelrod con Balzac’s Coffee, Davinci’s Ristorante, libro inconcluso, ironico e bizzarro come altre sue opere.
Professore di Letteratura comparata alla Chapman University in California, Direttore del John Fowles Center di Scrittura creativa, Axelrod è un vigoroso e prolifico autore di poesia e di critica, di sceneggiature e di fiction, tra cui, imprevedibili e gustosi, Cloud Castel («Castelli di nuvole») e Cardboard Castel («Castelli di cartone») o Borges’ Travel, Hemingway’s Garage. Il suo è un libro originale e inclassificabile, in cui grandi scrittori del passato, le loro opere, le loro vite, i luoghi di quest’ultime vengono mescolati come un mazzo di carte; danno nome a Caffè, Brasserie, profumi, alberghi, motel, società per affari, imprese, specialità cibarie. Una gustosa parodia delle parodie volgari e supponenti; una forma di resistenza alla trivialità e alla pacchiana dissacrazione, generi che, come le tonnellate di rifiuti delle metropoli, non si sa dove mettere ma su cui molti allungano le mani.
Personaggi e vicende di celebri capolavori si mescolano ai loro autori, si passa da un’epoca all’altra come da una stanza all’altra o come dalla Filosofia della composizione di Poe si passa ad una filosofia della caffeina di Balzac. Letteratura sulla letteratura e altro ancora; letteratura al cubo, con la grazia, l’ironia e la sorridente pietas di un attore che, trasformando e interpretando i personaggi e le parti più illustri, trasforma i volti dei mattatori della Cultura nel volto del Re di Coppe in una partita a carte in un bar. Poemi, maestri, mostri sacri, imbroglioni sulla passerella di un luna park e poi smontati come un Lego e rimessi nella scatola.
Scrittori che danno nome a locali, profumi, alberghi, motel, piatti
Personaggi e vicende di celebri capolavori si mescolano ai loro autori