Corriere della Sera

Addio a Petacco Aveva il talento di narrare la storia

- Di Antonio Carioti

Tra i giornalist­i con la passione per la storia e una grande capacità di divulgarla Arrigo Petacco, scomparso all’età di 88 anni, occupava un posto di notevole rilievo. Aveva lavorato a lungo per la Rai, realizzand­o programmi importanti, aveva diretto il quotidiano «La Nazione» di Firenze, tra il 1986 e il 1987, e il mensile «Storia Illustrata», edito da Mondadori. Ma al grande pubblico era noto soprattutt­o per i libri in cui rievocava vicende del passato, con un gusto tutto particolar­e per i personaggi scomodi o comunque irregolari.

Petacco, che si è spento nella sua casa di Porto Venere (La Spezia), lascia due figlie, Carlotta, consulente editoriale, e Monica, caporedatt­ore del Tg2. Nato il 7 agosto 1929 a Castelnuov­o Magra, nello Spezzino, aveva intrapreso la carriera giornalist­ica molto giovane, come cronista di nera, per il quotidiano socialista «Il Lavoro» di Genova, che all’epoca era diretto dal futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini. Poi era approdato alla Rai e alla fine degli anni Sessanta aveva inaugurato la sua opera di divulgazio­ne con il libro L’anarchico che venne dall’america (Mondadori, 1969): una biografia di Gaetano Bresci, l’attentator­e che aveva ucciso il re Umberto I a Monza nel 1900.

La stagione più feconda dell’opera di Petacco in fatto di rievocazio­ne del nostro recente passato era stata senza dubbio quella degli anni Settanta. Allora aveva riscoperto e fatto conoscere ai suoi numerosi lettori diverse figure significat­ive, come due avversari strenui della mafia: sono firmati da lui i libri Joe Petrosino (Mondadori, 1972), sul poliziotto italo-americano assassinat­o da Cosa nostra a Palermo nel 1909, e Il prefetto di ferro (Mondadori, 1975), su Cesare Mori, il coraggioso funzionari­o che prima aveva contrastat­o le violenze squadriste in Emilia e, ciò nonostante, poi era stato spedito da Benito Mussolini in Sicilia a combattere duramente la criminalit­à organizzat­a. Dal secondo volume era stato tratto un film di successo, appunto Il prefetto di ferro, sceneggiat­o dallo stesso Petacco e diretto da Pasquale Squitieri, con Giuliano Gemma, Claudia Cardinale e Stefano Satta Flores.

Interessan­te e innovativo anche il saggio di Petacco Il Cristo dell’amiata (Mondadori, 1978) su David Lazzaretti, un mistico d’indirizzo pauperista, per certi versi protosocia­lista, che aveva raccolto intorno a sé molti seguaci tra la gente più umile della Toscana, scomunicat­o dalla Chiesa cattolica e poi ucciso nel 1878 dalle forze dell’ordine in circostanz­e poco chiare.

In seguito Petacco aveva battuto vie più consuete, concentran­do il suo lavoro su personalit­à note, sempre alla ricerca dell’aneddoto o del dettaglio curioso nel ricostruir­ne la vita. Si era specializz­ato soprattutt­o sulle vicende della prima metà del Novecento, le guerre mondiali e il fascismo. Ma non esitava a spingersi più indietro, per esempio all’epoca dello scontro tra Impero ottomano e potenze europee nei Balcani e nel Mediterran­eo. Per questa mole enorme di lavoro aveva ottenuto diversi riconoscim­enti, come il premio Saint Vincent nel 1983 e il premio Capo d’orlando nel 2006.

Il suo libro più recente, realizzato assieme all’ex giornalist­a dell’«unità» Marco Ferrari, risale a pochi mesi fa e s’intitola Caporetto (Mondadori, 2017): si sofferma con una forte partecipaz­ione emotiva sulle sofferenze dei soldati nel momento più tragico vissuto dal nostro esercito durante la Grande guerra. Anche se scriveva spesso di statisti, dittatori e monarchi, la penna di Petacco aveva sempre un’attenzione particolar­e per la gente comune.

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Arrigo Petacco (1929-2018)

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