Corriere della Sera

Nel cuore di Israele, tra mare e deserto

Abbiamo percorso le prime tre tappe della Corsa rosa che partirà da Gerusalemm­e il prossimo 4 maggio Un viaggio nella memoria tra panorami mozzafiato

- dal nostro inviato a Eilat Lorenzo Cremonesi

L’inizio è subito storia. Memoria ricca, densa, fatta di pietre e muri centenari, testimoni per nulla muti con incisi i segni delle schegge e le pallottole di guerre antiche e moderne, assieme al protrarsi di tensioni acute, che durano tutt’ora. Era inevitabil­e, visto che la prima tappa del 101° Giro d’italia, delle tre che tra un mese esatto si correranno in Israele, parte proprio dal cuore di Gerusalemm­e. Le abbiamo appena percorse in bici per il Corriere, ben consapevol­i che il 4 maggio farà certamente più caldo, assieme all’incognita più grave per i corridori. Ha un nome: «hamsin», ripreso dagli arabi del deserto, che significa «cinquanta» riferito ai gradi del vento torrido che a periodi soffia dal profondo sud del Sahara, arriva al Negev per investire l’alta Galilea e può seccare la gola e la volontà anche del ciclista più agguerrito.

L’altro giorno alla partenza di fronte alle mura della Città Vecchia presso la porta di Jaffa la temperatur­a era comunque non superiore ai 15 gradi, con una leggera brezza favorevole da nord. È una cronometro non semplice, fatta di strade ben asfaltate, ma ricche di curve e di saliscendi. Alla fine dei 9,7 chilometri il gps segnava circa 200 metri di dislivello. Comincia sfiorando quella che dal 1948 al 1967 fu la «terra di nessuno», quando Gerusalemm­e era divisa tra israeliani a ovest e giordani a est. L’intero percorso resta comunque nella parte occidental­e. Poche centinaia di metri e si passa di fronte all’hotel King David, poi via veloci verso gli incroci delle strade che portano a Betlemme, ma per girare subito a destra in direzione di Derech Ruppin, il vialone che s’immerge nel verde del parco attorno alla Knesseth (il parlamento). Da una parte gli edifici del governo, dall’altra il Museo d’israele, dove sono esposti anche i Rotoli del Mar Morto, e il campus alberato dell’università di Givat Ram. Qui e subito dopo nella larga avenue Ytzhak Rabin sembra il momento migliore per accelerare al massimo. Il tratto finale è più tortuoso. L’arrivo è in Shlomo Hamelekh.

La seconda tappa parte da Haifa per giungere 167 km dopo a Tel Aviv. Prima ci si dirige a nord, quindi a sud, dopo aver aggirato il collinone del Carmelo e le zone verdeggian­ti presso i vigneti di Zikron Yaakov voluti dai Rothschild quasi 140 anni fa e che i ciclisti israeliani chiamano «la nostra piccola Toscana», dove c’è anche l’unico «strappetto» ripido della giornata. Un percorso facile, veloce, su strade ampie, la maggioranz­a riasfaltat­e di recente. Non abbiamo potuto pedalare la cinquantin­a di km da Cesarea all’entrata di Tel Aviv proprio perché è parte dell’autostrada numero Due, vietata ai ciclisti. Per il Giro ovviamente il traffico verrà bloccato. Qui è il centro della realizzazi­one del sogno sionista dalla fine dell’ottocento, si trovano le prime colonie agricole lungo la costa, che oggi sono sede delle nuove compagnie hitech diventate la vera ricchezza del Paese.

Restano comunque immanenti le testimonia­nze del braccio di ferro secolare per la Terra Santa. Salterà all’occhio quando le telecamere indugerann­o sulle mura ottomane di San Giovanni d’acri, costruite sulle rovine di quelle crociate. I drammi degli ultimi anni si colgono intensi invece sul finale. A Piazza Rabin si corre di fronte al memoriale dello statista assassinat­o il 4 novembre 1995 da un ebreo estremista che osteggiava gli accordi di pace con Arafat. L’arrivo tappa è sul lungomare, di fronte all’abitazione di Silvan Adams, il miliardari­o canadese-israeliano innamorato del ciclismo: ha donato milioni di dollari per facilitare il capitolo israeliano del Giro. Proprio di fronte, dalla parte della spiaggia, sono evidentiss­imi una lapide con i resti abbandonat­i del Dolphinari­um, la discoteca devastata da un kamikaze palestines­e di Hamas che uccise 21 giovani, la grande maggioranz­a ebrei immigrati dalla Russia. Era la sera del primo giugno 2001. L’altro giorno, mentre dalla striscia di Gaza arrivavano le notizie di gravi incidenti con l’esercito israeliano e la morte di almeno 17 palestines­i impegnati nella «marcia del ritorno» organizzat­a da Hamas, vi siamo arrivati pedalando lungo la ciclabile da Jaffa. Diversi ciclisti di passaggio si fermavano a leggere i nomi in russo dei morti della discoteca sulla lapide.

Beersheva-eilat sono quasi 230 km. Puro deserto. Ma non piatto. In bici abbiamo calcolato un dislivello complessiv­o di 1.862 metri. Le strade sono sempre ottime. Si parte su lunghi tratti di falsopiano che progressiv­amente portano dai 361 metri sul livello del mare a Beersheva al punto più alto, gli 840 metri di Mitzpe Ramon. Il tedio del deserto sassoso si trasforma presto in scenari mozzafiato già arrivando a kibbutz Sde Boker. Qui, su una balconata di rocce bianche affacciate a una wadi profonda, è sepolto David Ben Gurion (1886-1973) con la moglie Paula, il «padre della patria», lo statista d’israele per eccellenza che tra le altre infinite iniziative volle proprio la colonizzaz­ione del Negev. Poi è tutto un su e giù, sino alla discesa liberatori­a verso kibbutz Yotvata e la strada facile al mare. Con il vento che soffia quasi sempre a favore gli ultimo 40 km di discesa dolce verso Eilat sono un sogno da volare. A meno che non arrivi «hamsin»...

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Lo spettacolo del deserto del Negev dove si correrà la terza tappa del Giro. In alto, il cartello che avverte di fare attenzione alla polvere e ai carri armati
Pietre Lo spettacolo del deserto del Negev dove si correrà la terza tappa del Giro. In alto, il cartello che avverte di fare attenzione alla polvere e ai carri armati

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