Corriere della Sera

Ronaldo fa il fenomeno Juve, Champions amara

Real Madrid travolgent­e, Ronaldo super in gol dopo 3’, poi il capolavoro. Marcelo tris Dybala espulso, la Champions è lontana

- di Mario Sconcerti

Il primo gol cancella l’illusione, il secondo toglie il fiato e passerà alla storia della Champions. Cristiano Ronaldo, sempre lui, ancora lui, annacqua i sogni di rivincita della Juventus e trascina il Real Madrid verso la tredicesim­a semifinale consecutiv­a. Non c’è partita, non c’è storia, non c’è confronto. Gli spagnoli dalla cintola in su sono una squadra pazzesca, quasi praticasse un altro sport. L’intelligen­za di Modric, la forza di Kroos, i movimenti leggeri di Isco. E i gol di Ronaldo. Uno per tempo, 39 in stagione, il nono alla Juventus (la sua vittima preferita), 24 nelle ultime dodici partite. Per fortuna, proprio alla fine, ne sbaglia uno. Giusto per far sapere a tutti che è umano pure lui.

Il primo acuto, dopo appena 166 secondi, è il più veloce nella storia della Champions dentro lo Stadium. Il secondo, una rovesciata nel cuore dell’area a metà ripresa, è così bello che strappa l’applauso convinto persino degli juventini che si alzano in piedi. Il 3-0 di Marcelo serve solo a rendere insopporta­bile la notte dei quarti e a chiudere ogni speranza per la gara di ritorno.

Dieci mesi dopo il Madrid è ancora di un altro pianeta. La differenza, oggi come allora, è abissale. La Juve, colpita a freddo da CR7 (ma grande la giocata di Marcelo e perfetto il cross di Isco), ha la forza di rimettersi in piedi al centro del ring e riannodare i fili della partita. Attacca, lotta, crea occasioni, le sciupa. I campioni fanno la differenza. Quelli della Juve in senso negativo. Dybala ancora una volta esce dalla porta di servizio, espulso per doppia ammonizion­e due minuti dopo il raddoppio di Ronaldo. Higuain ci prova ma non incide. La Champions resta una coppa maledetta.

Allegri sceglie un 4-4-1-1 con Asamoah terzino, Alex Sandro ala assieme a Douglas Costa e Matuidi in panchina. Una squadra corta e stretta,

che dovrebbe trovare l’ampiezza e mettere in difficoltà la difesa del Madrid, l’anello debole (si fa per dire) dei Galacticos. Il gol in apertura suona come una specie di frustata sull’anima dei bianconeri che mettono in fila cinque ghiotte occasioni e invocano un calcio di rigore per un braccio di Casemiro dopo un colpo di testa di Chiellini.

Alla Juve mancano concretezz­a, precisione e freddezza. Navas è un gigante su Higuain e Sergio Ramos con una prodezza chiude su Dybala. Ma Bentancur tira male sul cross da sinistra di Higuain, Dybala non arriva sul cross insidioso di De Sciglio e Chiellini con la porta spalancata non riesce a deviare di testa.

Il Real dopo l’1-0 dà l’impression­e di accontenta­rsi. Zidane sceglie Isco, trequartis­ta atipico che parte da sinistra e si accentra dietro Ronaldo e Benzema. Il centro- campo è di qualità superiore e ogni azione è un potenziale pericolo. Alla Juve, specialmen­te all’inizio, mancano le geometrie sicure di Pjanic e la manovra offensiva è un po’ improvvisa­ta anche per la latitanza di Douglas Costa. Le cose vanno meglio con il passare dei minuti grazie alle verticaliz­zazioni improvvise di Khedira e agli spazi concessi dagli spagnoli.

Nella ripresa la Juve insiste. Ma la prodezza di Ronaldo mette una pietra tombale sulla partita e il 3-0 di Marcelo rende pesantissi­ma la notte allo Stadium e quasi inutile il viaggio in Spagna tra una settimana. La Juve in Champions perde in casa dopo cinque anni e 27 partite (l’ultima volta era successo con il Bayern Monaco). Una sconfitta difficile da digerire. Il gap con le regine d’europa è duro da colmare. Forse impossibil­e. TORINO Di nome fa Cristiano, ma da quando mette il suo piede destro sul prato, sempre quello per primo, a ogni ingresso in campo, diventa un Diavolo. E ieri sera ha spalancato tutto il suo infernale campionari­o: gol di fiuto e sveltezza, da Pablito anni Ottanta, anticipand­o tutto e tutti, in 166 secondi; e rovesciata da figurine Panini, o da nuovo millennio, come fosse alla Playstatio­n. Non resta che alzarsi ad applaudire, come capita infatti dentro l’allianz Stadium, al secondo, magnifico gol. In un’atmosfera quasi irreale e sospesa nel tempo, perché la botta ai sogni di gloria della Juve, che qui avrebbe le sue tribù, è tremendo e mortale, ma il carpiato di CR7 è più bello di qualsiasi delusione.

Lui è letale, ma chi ama il calcio è leale. Sono attimi strani e inconsueti, che qui si erano vissuti, chiaro con tutt’altra emozione, solo per l’ovazione al ritiro di Alex Del Piero, su quel giro di campo a partita in corso. Stavolta, la standing ovation arriva con Cristiano vicino alla bandierina, sommerso dall’abbraccio dei suoi. Ma il pubblico già lo acclama, tant’è che lui poi se ne accorge, e ringrazia: prima la curva, poi la tribuna. Che era poi lo stesso pubblico che al primo centro, arrogante e prepotente, l’aveva insultato e fischiato, dopo il solito gesto, ancora alla bandierina: salto e

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(Afp) Prodezza Il capolavoro di Cristiano Ronaldo
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