La gang dei Tir, le ville confiscate La vendetta del capo uscito di cella
Cosimo Balsamo ha ucciso i due vecchi amici imprenditori. «Era ossessionato»
Cosimo Balsamo aveva due tarli nella testa: il patrimonio confiscato e i vecchi amici, colpevoli di avergli voltato le spalle. «Da anni non riusciva a liberarsi di questa ossessione. Me l’ha ripetuto anche due settimane fa — ricorda oggi l’avvocato Patrizia Scalvi che lo assisteva da tempo in molte delle sue mille grane giudiziarie —. Si era ritrovato con un provvedimento definitivo della Cassazione e mi chiedeva cos’altro si potesse fare. Gli ho detto che le avevamo provate tutte e che rimaneva solo Strasburgo, ma sono stata chiara: è difficile, signor Balsamo». E lui, come spesso succedeva, se n’è andato cupo e risentito. «Giovedì scorso era tornato per avere alcune sentenze di condanna che aveva subito — aggiunge Scalvi —. Gli servivano per sistemare alcune cose in Questura perché voleva farsi un documento valido per l’espatrio».
Sessantadue anni, una moglie, due figlie, Balsamo a Brescia lo ricordano soprattutto per le scorribande della cosiddetta «gang dei Tir», una banda criminale della quale era uno dei capi. Specializzati nel furto di metalli, acciaio, ottone, rame, alluminio, depredavano i capannoni industriali del Nord, da Novara a Vicenza, per caricare tonnellate di refurtiva nei camion, rubati pure quelli. La fedina penale si era dunque inizialmente macchiata di quei reati: associazione, furto, ricettazione, costati a Balsamo varie condanne e pure il carcere. Ma, soprattutto, pagati nel 2007 con la confisca di un patrimonio da nababbo, quattro case a Flero, due a Castel Mella, tre a Roncadelle (tutti paesi del Bresciano), compresa la villa nella quale abitava con la famiglia. E poi polizze, conti correnti e l’80% delle quote dell’immobiliare Puglia. Uscito dal carcere tre mesi fa, dopo averne scontati dieci, Balsamo ha cercato di salvare qualcosa. «Mi ha detto che gli hanno restituito una polizza di 50 mila euro — ricorda il legale — ma null’altro». Briciole, dal suo punto di vista. Andava in giro dicendo che in febbraio gli era arrivata una cartella esattoriale da 1,2 milioni di euro che lo Stato avrebbe preteso come affitto della casa confiscata e da lui occupata per oltre dieci anni. E aveva messo in scena una protesta salendo sul tetto del Tribunale di Brescia urlando al suicidio.
Insomma, un tracollo. I nemici erano diventati anche i giudici. In particolare Lorenzo Benini, il gip che firmò la confisca e che nel 2011 si ritrovò nel cestino della bicicletta 11 proiettili. Li aveva messi lui, Balsamo, come accertarono i magistrati di Venezia davanti ai quali l’uomo patteggiò una condanna per minacce e detenzione di munizioni. Ieri Benini e il suo collega Paolo Mainardi, come pure le due avvocate che negli anni lo hanno difeso, Scalvi e Valeria Cominotti, hanno vissuto una giornata di blindatura. In mattinata il procuratore generale Luigi Maria Dell’osso, saputo che Balsamo aveva preso a sparare a chi riteneva responsabile delle sue disgrazie, aveva infatti deciso di raddoppiare i presidi di polizia in tribunale e di assegnare a tutti una scorta. Armato fino ai denti, l’uomo si era fiondato in bicicletta a Flero (il giorno prima aveva subito il furto dello scooter), alle porte di Brescia, e aveva freddato Elio Pellizzari, imprenditore titolare della Pg Metalli. Un vecchio amico che Balsamo odiava, convinto che fosse lui a informare gli investigatori dei traffici illeciti. E aveva ferito Giampietro Alberti, altro piccolo imprenditore del metallo e altra conoscenza della prima ora, indagato con lui per le vicende della banda dei tir. Per poi dare la caccia a James Nolli, sessantunenne coimputato nel processo dei furti, dal quale però era uscito senza condanne per ricettazione e, di conseguenza, senza confische. E questo, a Balsamo, bruciava. Lui l’aveva detto più volte al suo avvocato: «Prima o poi la faccio finita e con me porto qualcun altro». «Ma se ne dicono tante», sospira il legale. L’ha fatto: ha ucciso i nemici che aveva nella testa e si è sparato.
Non riusciva a liberarsi da questo pensiero fisso. Al suo avvocato l’aveva detto più volte: «Prima o poi la faccio finita e con me porto qualcun altro»