Confindustria e la risposta (pronta) al salario minimo
Con l’accordo sul rinnovo del modello contrattuale firmato poco prima delle elezioni Confindustria e Cgil, Cisl, Uil hanno inteso prepararsi. Nessuno potrà dire che le parti sociali non hanno fatto «i compiti a casa» per quanto riguarda l’aggiornamento delle norme sulla contrattazione. Ora il punto è attrezzarsi rispetto a una possibile offensiva sul salario minimo, visto che sia Lega che M5S vedono di buon occhio questo tipo di intervento.
Durante la campagna elettorale si è parlato di una soglia minima d i 6,5 euro lordi. In Confindustria (ma anche in Cgil, Cisl e Uil) si sono messi a far di conto: 6,5 euro per 173 (che sono le ore medie lavorate nel mese) fa 1.124 euro lordi al mese. Già oggi la maggioranza dei contratti (e degli inquadramenti all’interno del singolo contratto) garantiscono di più. E allora perché un’azienda dovrebbe restare iscritta alla propria associazione quando potrebbe evitare di pagare il contributo associativo e per di più avere il vantaggio competitivo dovuto a un minore costo del lavoro? In Confindustria si ragiona sul fatto che le varie agevolazioni fiscali a oggi previste per le imprese (dagli sgravi fiscali e contributivi sui premi di produttività agli «sconti» per chi assume under35, solo per fare un paio di esempi) dovrebbero andare a chi applica «il contratto di riferimento per la categoria». E qui sta la prossima sfida.
Chi dovrebbe dire quale è il contratto di riferimento per la categoria tra i quasi 900 oggi registrati al Cnel? Il Cnel, appunto. Non a caso è al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro che il patto della fabbrica fa riferimento per definire i «perimetri della contrattazione». Oggi al Cnel guidato da Tiziano Treu il vicepresidente di Confindustria Maurizio Stirpe presenta l’accordo di viale Dell’astronomia.