NONNO LUIGI (PIRANDELLO) E IL RE DI SVEZIA
I ricordi del nipote scomparso
La sera prima avrebbe dovuto presentare Il Pirandello dimenticato, visto attraverso tre generazioni (il nonno Luigi, il padre Fausto e lui stesso), l’avvocato Pierluigi Pirandello, ma non ce l’ha fatta. Un malore e, il giorno dopo — primo marzo scorso — la fine. E così il libro-intervista, firmato assieme ad Alfonso Veneroso, con la prefazione di Michael Rössner (De Luca, pagine 108, 30), definita dallo studioso viennese «una biografia frammentaria», diventa l’ultima fonte di notizie dirette — spesso inedite — di un testimone che ha attraversato un secolo di storia della famiglia del Nobel siciliano. Con episodi anche curiosi. Nel 1934, per esempio, a proposito della consegna del premio a Stoccolma, Luigi Pirandello ritarda a vestirsi per la cerimonia. Uscito dalla stanza, si trova nel corridoio da solo — scrive Pierluigi, riportando il racconto del nonno —. Fortunatamente incontra un distinto signore, cui in tedesco, chiede dove andare. Accompagnatolo sino all’ingresso della sala, questi gli fa cenno di entrare per primo. Quando fa il suo ingresso tutti si alzano in piedi e Pirandello capisce che il suo accompagnatore era il re di Svezia.
Il celebre drammaturgo, che con i figli Stefano (scrittore con lo pseudonimo Landi) e Fausto (pittore, il cui nome manifestava l’ammirazione per il Goethe del Faust) non aveva avuto rapporti idilliaci («Devo scusarmi coi miei figli di averli confusi con me. Li trattavo come trattavo me stesso. E ora capisco, tardi, di essermi sempre trattato male»), verso i nipoti s’era sempre dimostrato piuttosto affettuoso.
Pierluigi Pirandello è nato a Parigi nel 1928. Avendo saputo indirettamente (e due anni dopo) della sua nascita, il 22 marzo 1930, l’autore di Uno, nessuno e centomila, da Berlino, scrive a Fausto: «Che vuoi che dica, che
vuoi che faccia, figlio mio? Posso esprimerti soltanto il mio stupore e il dolore che sento, crudelissimo, che tu non mi abbia confidato mai nulla e che ancora, senza dirmi nulla, ti presenti a me d’improvviso, ponendomi davanti il fatto compiuto, d’una così tremenda responsabilità (…). Ma come farai a vivere, non più solo, con duemila lire al mese? (…). Parlami di tutto. Io ti mando intanto 5.000 lire. Baci. Il tuo papà».
Dal 1928 al 1931, Fausto s’era trasferito a Parigi per immergersi nel clima d’avanguardia che caratterizzava la Ville Lumière. Qui aveva incontrato Picasso, Braque, Matisse, Paresce, de Chirico, Kokoschka, Severini, Campigli, de Pisis. Lo accompagnava la modella Pompilia D’aprile, che sposerà qualche mese dopo la nascita di Pierluigi. L’aveva conosciuta ad Anticoli Corrado, dove la famiglia Pirandello, dal 1921, passava l’estate (qui, nel ’33, Pirandello inizia la stesura de I giganti della montagna). La cittadina laziale, famosa per la bellezza delle sue donne, fra ’800 e ’900 aveva ospitato artisti come Corot, Böklin, Rodin, Lipinsky, Carena, Capogrossi, Messina, Rafael Alberti. «Le modelle erano delle giovani ragazze abituate a portare l’acqua nelle brocche di rame, dette “conche”, poste in equilibrio sulla testa — ricorderà Pierluigi —. Il loro portamento e la grazia dei loro movimenti ne faceva delle modelle perfette. Al centro di piazza delle Ville, disegnata da Arturo Martini, c’era una fontana dove le donne di Anticoli andavano a riempire le brocche: le più povere guardavano la propria immagine riflessa perché non avevano uno specchio in casa».
Ad Anticoli tornerà Fausto, al rientro da Parigi. E qui ha deciso di farsi seppellire Pierluigi Pirandello, avvocato, mecenate (assieme alla moglie Giovanna Carlino) e gentiluomo.