M5S, le telefonate al reggente pd Ma il piano B è un governo lampo
ROMA «Non siamo né di destra né di sinistra — dice Luigi Di Maio al termine delle consultazioni — e quindi possiamo interloquire con tutti». Ed è vero che il modulo di gioco del Movimento in questo momento è a tutto campo. Tra i due «forni», il più caldo è quello leghista, ma Di Maio prova a tener vivo anche quello del Pd. Al quale lancia un messaggio nuovo, più aperto e inclusivo: «Siamo pronti a parlare con tutti dentro il Pd». Improvvisamente rispettoso delle dinamiche interne dei dem, Di Maio spiega: «Non ho mai chiesto una scissione interna, e se mi rivolgo al Pd, mi rivolgo a quel partito nella sua interezza». Dunque anche a Matteo Renzi. Il più ferocemente contrario a M5S.
Parole non casuali. Che sono un messaggio rivolto al Quirinale, per rassicurare sulla sincerità dell’apertura al Pd, insieme alle aperture sui temi internazionali, in controtendenza rispetto a Salvini. Ma sono un messaggio anche per Maurizio Martina. Con il quale si è sentito più volte di recente. Anche martedì, quando si è giocato il Pd come interlocutore «privilegiato» (salvo correggersi). Era seguita una nota di Martina, che respingeva al mittente le lusinghe: «Non ci stiamo al giochetto di dividerci».
Nota che aveva fatto infuriare Di Maio: «Ma come, prima mi telefona e si dice possibilista, poi dice queste cose? Non può dire una cosa privatamente e un’altra pubblicamente». Ma Martina, anche per non perdere i voti di Renzi il 21 aprile, quando si deciderà il segretario, ieri sera ha fatto sapere di non volere incontrare Di Maio. Dai piani alti M5S non ci si scompone: «Con il Pd si sta muovendo qualcosa, Martina cambierà idea». Ed è quanto serve ai 5 Stelle, che hanno bisogno di tenere alimentato il fuoco dem, in attesa delle Regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia (29 aprile). A quel punto, Salvini proverà a passare all’incasso con quel che resta di FI, soprattutto se Fedriga avrà un buon risultato.
Che i tempi non siano maturi lo ha spiegato Di Maio a Di Martedì: «Vedremo nelle prossime settimane». E lo ha ripetuto ieri al Quirinale: «Faccio gli auguri al Presidente per il lavoro che dovrà fare nelle prossime settimane». Un lapsus, subito corretto con «nei prossimi giorni». L’unica alternativa — sebbene Di Maio dica «no» a un premier «signor X» — non è un esecutivo con il Pd, ma un governo deciso dal Quirinale. Che duri pochi mesi, abbia un premier non sgradito ai 5 Stelle (per esempio, Ugo De Siervo) e ministri d’area. Un governo per fare poche cose, tra le quali la legge elettorale, per poi tornare al voto in autunno. Nel frattempo, però, c’è il secondo giro di consultazioni. Preceduto dal colloquio con Salvini, che si terrà il giorno prima della salita al Quirinale.