Corriere della Sera

M5S, le telefonate al reggente pd Ma il piano B è un governo lampo

- Alessandro Trocino

ROMA «Non siamo né di destra né di sinistra — dice Luigi Di Maio al termine delle consultazi­oni — e quindi possiamo interloqui­re con tutti». Ed è vero che il modulo di gioco del Movimento in questo momento è a tutto campo. Tra i due «forni», il più caldo è quello leghista, ma Di Maio prova a tener vivo anche quello del Pd. Al quale lancia un messaggio nuovo, più aperto e inclusivo: «Siamo pronti a parlare con tutti dentro il Pd». Improvvisa­mente rispettoso delle dinamiche interne dei dem, Di Maio spiega: «Non ho mai chiesto una scissione interna, e se mi rivolgo al Pd, mi rivolgo a quel partito nella sua interezza». Dunque anche a Matteo Renzi. Il più ferocement­e contrario a M5S.

Parole non casuali. Che sono un messaggio rivolto al Quirinale, per rassicurar­e sulla sincerità dell’apertura al Pd, insieme alle aperture sui temi internazio­nali, in controtend­enza rispetto a Salvini. Ma sono un messaggio anche per Maurizio Martina. Con il quale si è sentito più volte di recente. Anche martedì, quando si è giocato il Pd come interlocut­ore «privilegia­to» (salvo correggers­i). Era seguita una nota di Martina, che respingeva al mittente le lusinghe: «Non ci stiamo al giochetto di dividerci».

Nota che aveva fatto infuriare Di Maio: «Ma come, prima mi telefona e si dice possibilis­ta, poi dice queste cose? Non può dire una cosa privatamen­te e un’altra pubblicame­nte». Ma Martina, anche per non perdere i voti di Renzi il 21 aprile, quando si deciderà il segretario, ieri sera ha fatto sapere di non volere incontrare Di Maio. Dai piani alti M5S non ci si scompone: «Con il Pd si sta muovendo qualcosa, Martina cambierà idea». Ed è quanto serve ai 5 Stelle, che hanno bisogno di tenere alimentato il fuoco dem, in attesa delle Regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia (29 aprile). A quel punto, Salvini proverà a passare all’incasso con quel che resta di FI, soprattutt­o se Fedriga avrà un buon risultato.

Che i tempi non siano maturi lo ha spiegato Di Maio a Di Martedì: «Vedremo nelle prossime settimane». E lo ha ripetuto ieri al Quirinale: «Faccio gli auguri al Presidente per il lavoro che dovrà fare nelle prossime settimane». Un lapsus, subito corretto con «nei prossimi giorni». L’unica alternativ­a — sebbene Di Maio dica «no» a un premier «signor X» — non è un esecutivo con il Pd, ma un governo deciso dal Quirinale. Che duri pochi mesi, abbia un premier non sgradito ai 5 Stelle (per esempio, Ugo De Siervo) e ministri d’area. Un governo per fare poche cose, tra le quali la legge elettorale, per poi tornare al voto in autunno. Nel frattempo, però, c’è il secondo giro di consultazi­oni. Preceduto dal colloquio con Salvini, che si terrà il giorno prima della salita al Quirinale.

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