Corriere della Sera

Google in affari con il Pentagono Rivolta interna

- Dal nostro corrispond­ente Giuseppe Sarcina

«Caro Sundar, pensiamo che Google non dovrebbe fare business con la guerra». Comincia così la lettera inviata all’amministra­tore di Google Sundar Pichai, con la firma di oltre 3.100 dipendenti, compresi ingegneri e tecnici specializz­ati. È una protesta pubblica, inedita, per la partecipaz­ione al «Project Maven» del Pentagono, un piano di intelligen­za artificial­e lanciato nel 2017. In sostanza una piattaform­a con cui elaborare i dati intercetta­ti dai droni della Difesa, in modo da poter identifica­re i possibili bersagli di un raid, come, per esempio, veicoli in movimento. I firmatari non si accontenta­no delle spiegazion­i fornite da Diane Greene, a capo di Google cloud, che aveva assicurato: «La tecnologia non sarà usata per lanciare armi». «Questo progetto — si legge ancora nella lettera pubblicata dal New York Times — danneggerà in modo irreparabi­le il marchio di Google e la sua capacità di competere per attirare i migliori talenti». I dipendenti richiamano il motto dell’azienda: «Non essere cattivo» e la necessità di garantire «la reputazion­e» di Google, fondata sulla «responsabi­lità etica e morale». Il gruppo dà lavoro a 88.110 persone in tutto il mondo. Ma la «rivolta dei tremila» può essere contagiosa: la fiducia degli utenti nelle tecnocrazi­a della Silicon Valley è ancora scossa per il caso degli 87 milioni di account Facebook, sottratti da Cambridge Analytica e ceduti alla campagna elettorale di Donald Trump.

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