Google in affari con il Pentagono Rivolta interna
«Caro Sundar, pensiamo che Google non dovrebbe fare business con la guerra». Comincia così la lettera inviata all’amministratore di Google Sundar Pichai, con la firma di oltre 3.100 dipendenti, compresi ingegneri e tecnici specializzati. È una protesta pubblica, inedita, per la partecipazione al «Project Maven» del Pentagono, un piano di intelligenza artificiale lanciato nel 2017. In sostanza una piattaforma con cui elaborare i dati intercettati dai droni della Difesa, in modo da poter identificare i possibili bersagli di un raid, come, per esempio, veicoli in movimento. I firmatari non si accontentano delle spiegazioni fornite da Diane Greene, a capo di Google cloud, che aveva assicurato: «La tecnologia non sarà usata per lanciare armi». «Questo progetto — si legge ancora nella lettera pubblicata dal New York Times — danneggerà in modo irreparabile il marchio di Google e la sua capacità di competere per attirare i migliori talenti». I dipendenti richiamano il motto dell’azienda: «Non essere cattivo» e la necessità di garantire «la reputazione» di Google, fondata sulla «responsabilità etica e morale». Il gruppo dà lavoro a 88.110 persone in tutto il mondo. Ma la «rivolta dei tremila» può essere contagiosa: la fiducia degli utenti nelle tecnocrazia della Silicon Valley è ancora scossa per il caso degli 87 milioni di account Facebook, sottratti da Cambridge Analytica e ceduti alla campagna elettorale di Donald Trump.