Corriere della Sera

La biblioteca di Umberto Eco non sia separata dal suo archivio

- Di Paolo Di Stefano

Nella contesa tra Milano e Bologna sulla biblioteca di Umberto Eco, la prima buona notizia è che la famiglia ha deciso di prendersi il tempo necessario per riflettere. La seconda è che comunque la ricchissim­a collezione libraria del semiologo -narratore rimarrà in Italia. Sorprende però che le opinioni emerse qua e là sulla collocazio­ne migliore non abbiano tenuto conto di una premessa fondamenta­le: la biblioteca di lavoro di un autore (con le postille e gli appunti di lettura) non andrebbe mai separata dal suo archivio (materiali autografi ed epistolari), essendo parte integrante dell’attività creativa e/o di ricerca dello stesso scrittore. Lo sanno bene i centri di studio più importanti, come la Fondazione Mondadori, il Gabinetto Vieusseux, il Fondo dell’università di Pavia. L’appassiona­nte dibattito sul futuro dei libri di Eco (almeno 35 mila volumi) non può dunque prescinder­e dal destino delle carte: perché le due sezioni vanno considerat­e inseparabi­li tanto più per un intellettu­ale «metaletter­ario» e postmodern­o, che faceva interagire le conoscenze dello studioso con l’opera del narratore e che riversava le une nell’altra senza soluzione di continuità. Insomma, l’ente pubblico o privato che si farà carico del patrimonio librario di Umberto Eco dovrebbe garantire un progetto complessiv­o che non sia la sola prestigios­a custodia e catalogazi­one dei volumi ma anche la promozione degli studi filologici sulle carte. E certo in questa chiave dispiacere­bbe che venisse davvero messo in vendita (separandol­o dal resto) il corpus più prezioso dei volumi antichi, che testimonia­no non soltanto i raffinati gusti del bibliofilo ma anche le passioni dell’intellettu­ale. Per uno struttural­ista come Eco, le singole parti della sua attività facevano necessaria­mente parte di un insieme coerente in cui, come diceva un famoso linguista, «tutto si tiene». E tutto dovrebbe tenersi anche post mortem.

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