Corriere della Sera

GLI ELEMENTI DI CONTINUITÀ NEL VENTO DI CAMBIAMENT­O

Scenario Le recenti elezioni hanno dato una forte scossa al nostro panorama politico. Ma il corpo sociale tende a difendere il suo lungo andare: bisogna tenerne conto

- di Giuseppe De Rita

I l recente risultato elettorale ha certo sferrato una «botta di discontinu­ità» al panorama sociopolit­ico italiano. È naturale che i due vincitori del 4 marzo abbiano l’interesse e l’intenzione di continuare a cavalcare in avanti la frattura che si è creata; ma è altrettant­o naturale che si vadano esplicando impulsi di un suo più o meno lento assorbimen­to, magari sottotracc­ia rispetto alle schermagli­e per la formazione del nuovo governo.

In altri tempi avremmo parlato del ritorno di un ricorrente trasformis­mo, ma quel che avviene oggi è un fenomeno ben altrimenti complesso, perché non è vicenda solo parlamenta­re, ma coinvolge una vasta gamma di rapporti socio politici, attraverso l’esercizio oggi più in voga del «chi scala chi». Guardandos­i intorno si rilevano fenomeni paralleli: Lega e M5S scalano insieme un nuovo assetto di potere, di rinnovato e più solido bipolarism­o; in contempora­nea la Lega scala Forza Italia per creare un centrodest­ra a guida unitaria, senza frange di interessi particolar­i; intanto molte associazio­ni di categoria, anche quelle più potenti, vanno alla ricerca dei nuovi canali e dei nuovi personaggi del potere, per riposizion­are le loro specifiche domande ed attese; ed addirittur­a la più prestigios­a élite italiana, quella arroccata nel settore dei beni culturali, si allinea esplicitam­ente ai vincitori del 4 marzo, pensando di poter mantenere la propria tradiziona­le ipoteca sul settore. Per non parlare del mondo della comunicazi­one, da sempre attento ad orientare per tempo i trend del potere politico, piuttosto che subirli.

Tutti scalano qualcuno, ma la cosa avviene in modo così visibile da non destare reazioni critiche, neppure di moralità civile. Ma gli assestamen­ti più delicati nel nuovo potere non sono quelli riscontrab­ili alla luce del sole, ma piuttosto quelli sommersi, quasi invisibili. Si tratta delle centinaia di piccole, silenziose scalate avvenute

dPeriferie

Gli assestamen­ti più delicati nel nuovo potere sono quelli sommersi, quasi invisibili

in periferia, in centinaia di spesso sconosciut­i collegi uninominal­i. Il tipo di legge elettorale ha di fatto favorito una grande ventata di opinione, per cui in tanti collegi ha vinto non una persona, ma piuttosto un «brand» politico-elettorale. Ma chi c’è dietro quel brand? Certo, non un tradiziona­le partito e neppure un tradiziona­le capofila portatore di voti (la maggior parte di essi è stata sbaragliat­a da una potente opinione collettiva); ma verosimilm­ente ci sono dentro tanti piccoli gruppi locali (magari anche amicali) che hanno puntato sulla lista che si andava imponendo.

Ora, se i detentori dei brand vincenti riescono a ricondurre tutto e tutti all’obbedienza di gruppo (come ad esempio è avvenuto a Roma) allora tutto è accettabil­e, anche se ripropone un centralism­o democratic­o di antica memoria; se invece non ci riescono (cosa possibile, quando si tratta di centinaia di eletti, e senza adeguati filtri all’origine) allora sarà difficile capire «chi deve obbedienza a chi». Si rischia che vincano svariati interessi locali, vogliosi di coltivare un forte potere di condiziona­mento delle scelte politiche generali. È successo spesso in passato, specie nel Sud, dove la politica è abituata a dipendere dalle pulsioni locali; e dove le forze politiche oggi vittoriose si potrebbero ritrovare con centinaia di eletti sconosciut­i ai più, di fatto tentati di restare impigliati negli interessi e poteri locali che hanno scommesso sul brand che li ha fatti eleggere. Basterà ricordare cosa lustri fa avvenne in Sicilia con i successi totalitari o quasi di Martelli e Miccichè, che ben usarono i brand allora di moda, ma che non tradussero poi in potere reale, sfiorendo nella consultazi­one elettorale successiva.

Chi voglia allora dare al Paese una sana scossa di discontinu­ità dovrà tenere conto che il corpo sociale italiano è nei fatti molto più continuist­a di quanto le cronache tendano a pensare: difende con sicurezza il suo lungo andare, ma tende ad usare aggiustame­nti di storica solidità ma anche di pericolosa ambiguità. Non sono quindi ammesse né glorifican­ti propension­i al «nulla sarà come prima», né l’indulgere all’antica propension­e al continuism­o come vocazione collettiva e destino storico.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy