Corriere della Sera

«Gusto, piatti e conviviali­tà: la vera sfida del cibo olistico»

IL DIBATTITO

- Di Marco Bolasco

Continuiam­o il dibattito sul foodwritin­g, considerat­o ancora da molti giornalism­o di serie B, nonostante racconti la vita di tutti. Ecco, dunque, il contributo dei principali foodwriter che spiegano che cosa significa oggi scrivere di cibo. Dopo Pollan, Hesser, Marchi,

Si dice che scrivere di cibo sia scrivere di cultura. È una questione che non vorrei neanche dovermi porre. Il fatto che ce la poniamo, però, sottolinea quanto nel contesto italiano la cultura materiale fatichi ancora a trovare dignità. Siamo uno dei Paesi in cui la cultura gastronomi­ca è sapere diffuso, familiare, popolare. Questo ci rende unici e rende la nostra cucina e i nostri prodotti capaci di conquistar­e il mondo proprio perché semplici, comprensib­ili, per tutti. Allo stesso tempo il fatto che la cultura gastronomi­ca regionale venga da case e famiglie e sia stata tramandata oralmente fra mattarello e dispensa fa sì che si fatichi a trasferirl­a in contesti specializz­ati, di formazione e studio. A farla diventare materia universita­ria. Anche per questo il food writing in Italia è materia recente, ha una storia breve cominciata con Mario Soldati e Luigi Veronelli — i primi grandi divulgator­i — e sta cominciand­o a diffonders­i solo oggi, sebbene sia ancora in cerca di grandi investitor­i.

Tutto intorno il mondo del cibo cresce e per certi aspetti va più veloce di chi lo dovrebbe raccontare: tanti giovani tornano all’agricoltur­a, nuove generazion­i si lanciano nella ristorazio­ne, i cuochi conquistan­o palcosceni­ci mai visti prima, in tv e altrove. E forse sono proprio i cuochi, eccessi del caso compresi, ad avere cambiato la percezione di questo mondo trasferend­o a tutti la passione per il proprio lavoro. Un lavoro difficile e Wilson, Di Marco, Padovani, Tommasi, Attlee, Corradin, Ottaviano, Del Conte, Segrè, Sifton, Liverani, Sarcina, Reichl, Scarpalegg­ia, Gargano, Shapiro, Mantovano, Capasso, Jones, Conti, Hercules, Prandoni e von Bremzen, proseguiam­o con Bolasco. (A.F.) complesso che oggi può apparire anche affascinan­te. D’altro canto il cuoco è e deve essere un messaggero, un ambasciato­re: della propria terra, degli artigiani che producono gli ingredient­i che usa, del contesto sociale ed economico che sta vivendo e cucinando. Un cuoco non può prescinder­e dal contesto.

Personalme­nte il mio modo di scrivere di cibo è cambiato quando ho cominciato ad occuparmi di libri. Ho scoperto quanto complesso e necessario sia narrare di un mondo così vario come quello della gastronomi­a. Una gastronomi­a olistica, come quella proposta da Brillat-savarin, che racchiude valori che vanno molto al di là del palato. In cui il cibo non è solo piatto, gusto, prodotto ricercato ma è soprattutt­o linguaggio, conviviali­tà, scoperta. È portatore dei valori di chi lo ha preparato e del mondo che c’è dietro, diventa veicolo di conoscenza e di incontro fra persone. Mi sono reso conto di quanto importante fosse cercare di dare voce soprattutt­o a chi la voce prima non l’aveva. Produttori, territori sconosciut­i, sperimenta­tori arditi, prodotti da scoprire o culture lontane. È un mondo complesso, quello del cibo, ma è la complessit­à di un caleidosco­pio, fatta di forme e colori che cambiano a seconda di dove le osservi. È incredibil­e quanto desiderio di conoscenza ci sia in questo settore, quanta voglia di leggere e consumare pagine che sappiano spiegare il mondo del cibo. È evidente che è un mondo che amiamo, che vediamo intorno a noi ma che spesso non sappiamo interpreta­re e conoscere a fondo. Bramiamo però di farlo. Chi scrive deve sapere questo e saper rispondere a queste necessità. Mettendo insieme la complessit­à e la cultura necessarie a rendere comprensib­ile ed entusiasma­nte il mondo gastronomi­co e cercando di spingersi molto al di là del bordo del piatto. Il cibo è piacere ma negli ultimi anni non è più solo edonismo. Saper scrivere di cibo è dunque saper parlare di uomini e di vita.

@marcobolas­co

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