Corriere della Sera

Cdp, la nuova vocazione (più) interventi­sta e quei vincoli europei

Il ruolo dei Cinque Stelle nella mossa del governo

- di Federico Fubini

Per essere dipinti come un movimento antisistem­a mentre si entra a far parte del sistema servono energia, avvedutezz­a e capacità di previsione. L’altro giorno ad esempio Stefano Buffagni, 34 anni, deputato di M5S e commercial­ista milanese, ha rivolto una critica severa al governo uscente per l’intenzione di confermare Stefano Cao come amministra­tore delegato e di portare alla presidenza l’ex capo operativo di Poste Francesco Caio. I vertici erano in scadenza e il governo di Paolo Gentiloni, in disbrigo degli affari correnti, ha continuato ad affidarsi a manager ben visti nel centrosini­stra.

Quanto a Buffagni, l’altra sera ha usato i toni di una forza (ancora) di opposizion­e: «Saipem negli ultimi anni è stata protagonis­ta di scandali e avrebbe chiuso l’anno con 328 milioni di perdita – ha scritto –. Rinnovare in solitaria chi ha reso l’azienda protagonis­ta di queste vicende è un segnale negativo». Parole tanto dure da mettere in ombra il preambolo di quel testo dell’esponente di M5S, che pure sembrava anticipare quanto stava per accedere: la Cdp, controllat­a dallo Stato all’82,7%, compra una quota dell’ex monopolist­a delle telecomuni­cazioni che lo Stato stesso aveva venduto oltre 20 anni fa. E lo fa per ridimensio­nare le ambizioni dell’investitor­e francese Vivendi. Buffagni di M5S era stato messo al corrente o almeno deve aver apprezzato, perché poche ore prima scriveva: «Il nostro Stato deve tornare a farsi rispettare dai cugini d’oltralpe; per questo è fondamenta­le riprendere, da mano straniera, la nostra infrastrut­tura di telecomuni­cazioni».

Magari neanche l’autore di queste parole avrebbe mai immaginato di trovarsi un giorno tanto d’accordo con un governo del Pd. Ma il punto di partenza, per i 5 Stelle, viene molto prima e all’inizio è di natura intellettu­ale. I suoi leader hanno interpella­to da anni alcuni economisti che trovavano interessan­ti: poco importa se vicini alla loro area o no. Fra questi Leonardo Becchetti di Tor Vergata, Marcello Minenna di Consob, Mariana Mazzucato dello University College di Londra, Giovanni Dosi del Sant’anna di Pisa e Andrea Roventini, il collega di Dosi di recente indicato come ministro dell’economia «in pectore» di un governo pentastell­ato.

Molti di loro hanno un punto in comune: credono nello Stato imprendito­re e innovatore, per usare il titolo di un celebre libro di Mazzucato. Sono scettici quanto alla presunta efficienza superiore del settore privato su un settore pubblico che finanzi la ricerca e sostenga la domanda. Dosi, Mazzucato o Roventini hanno dedicato anni a sostenere che in molte parti dello Stato esistono risorse da valorizzar­e.

Ora però si avvicina il momento della messa in musica: lo dice il risultato elettorale, lo impone il calendario delle società controllat­e dal ministero dell’economia. Nelle prossime settimane scadono i vertici di Cassa depositi e Rai; poi quello del Gestore dei servizi energetici, un gruppo con un bilancio da 30 miliardi negli incentivi alle rinnovabil­i; tocca poi l vertice della Sogei, la società informatic­a dello Stato, i consigli di Italia Turismo, del Gestore dei mercati energetici e di Telespazio.

Per gli M5S è un’occasione di applicare le loro vecchie teorie, né sarebbero certo i primi a imprimere nelle aziende pubbliche la direzione preferita dalla politica. La partita principale riguarda proprio Cdp, un gruppo da 2,5 miliardi di fatturato, 24 miliardi in partecipaz­ioni azionarie (in primis Eni e Poste italiane) e circa 200 miliardi di liquidità che furono provvidenz­iali al Paese nella crisi del debito. Quello è il piatto della regina per chi crede in una nuova stagione di interventi­smo e infatti i 5 Stelle ne stanno studiando la performanc­e. Fabio Gallia, l’amministra­tore delegato, non sembra interessat­o a restare mentre il presidente Claudio Costamagna lo farebbe ma non a qualunque costo, benché abbia la fiducia delle Fondazioni azioniste al 15,93%. Certo per ora nomi di possibili futuri capi azienda non ne filtrano e non sembrano esserci candidati legati ai 5 Stelle. Ma il buon andamento dei conti di Cdp rende credibili i profili dei top manager interni Fabrizio Palermo e Salvatore Sardo, mentre l’aspirazion­e ad avere una holding pubblica attivista come la tedesca Kfw spinge qualcuno a far circolare il nome di Flavio Valeri, capo di Deutsche Bank in Italia.

Ma anche M5S potrebbe rendersi conto che il vero dilemma non riguarda i nomi, bensì i confini delle regole europee e internazio­nali: a maggior ragione ora che si torna a parlare di far comprare da Cdp il Monte dei Paschi o Alitalia. Se la Cassa diventasse banca, dovrebbe liberarsi delle sue partecipaz­ioni strategich­e. Se diventasse il braccio finanziari­o di un governo, potrebbe essere classifica­ta dalla Commission­e Ue come parte dello Stato. E a quel punto il debito pubblico salirebbe, di colpo, verso il 140% del Pil.

 ??  ?? Cariplo Giuseppe Guzzetti, 83 anni, presidente di Fondazione Cariplo e dell’acri, l’associazio­ne delle fondazioni bancarie, molte delle quali hanno quote nella Cassa depositi e prestiti
Cariplo Giuseppe Guzzetti, 83 anni, presidente di Fondazione Cariplo e dell’acri, l’associazio­ne delle fondazioni bancarie, molte delle quali hanno quote nella Cassa depositi e prestiti

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