Frank, fachiro gigante sui coni gelato I mondi visionari di Gabriele Picco
Un uomo lungo 16 metri sdraiato su 57 mila cialde: l’artista affronta con leggerezza i grandi temi della vita
L’impatto con Frank il fachiro è un misto di sorpresa, sconcerto e divertita inquietudine: un misterioso uomo lungo sedici metri (che sembra fatto di pietra) è sdraiato su un letto di simbolici chiodi sostituiti da (veri) coni gelato (57 mila) con la punta all’insù. Lo spettatore deve inevitabilmente fare i conti con la propria piccolezza, laddove la sola testa e i piedi del fachiro sono alti quasi tre metri. Un impatto potente, che porta a sorridere e costringe a un viaggio nel tempo: non si può non pensare alla statua sdraiata di Ramses II a Menfi, o al grande scheletro di De Dominicis o al gigantismo delle opere di Damien Hirst. Ma qui, a Brescia, alla Crociera di San Luca, non c’è né l’evocazione alla morte, né il richiamo alla storia, al contrario tutto è ispirato da un divertente spirito vitale, lo stesso che anima l’arte (e la vita) di Gabriele Picco (Brescia, 1974) artista poliedrico che dipinge, scolpisce e lavora con la parola, con alle spalle romanzi e racconti di successo.
Una rampa di scale permette al pubblico di osservare la scultura da una balconata, mentre viene investito dalla fragranza delle cialde croccanti in una vera e propria esperienza sensoriale. Che potremmo definire totale: anche l’udito, oltre all’olfatto, viene coinvolto. Per effetto dell’umidità che opera sui coni, la statua sembra essere animata da un invisibile movimento con un costante e indefinibile (e in parte preoccupante) scricchiolio.
La mostra (prorogata sino a maggio, ma visibile ora solo il sabato e la domenica) si snoda in tre grandi sale e ha un titolo misterioso ed evocativo: Dovrei smettere di origliare le falene, quasi a sottolineare il mondo visionario che anima, con sogni, giochi e paure, l’universo creativo di Gabriele Picco.
È lo stesso autore a chiarire la sua poetica: «Le mie idee non vengono mai da un ragionamento, a dimostrazione di una tesi, ma forse più dal mio inconscio. Come se le avessi colte origliando la voce delle falene di notte». E la voce delle falene sembra offrire a Picco davvero suggestioni poetiche e insieme inaspettate: «Mi piace l’idea che i chiodi del fachiro siano sostituiti con i coni gelato, qualcosa che tutti associamo all’infanzia, alla spensieratezza e alla gioia. Forse ha qualcosa di malinconico questa scultura, credo che parli in qualche modo anche di dolore e di nostalgia. Nonostante le dimensioni, io guardo Frank il fachiro come fosse una piccola poesia».
La mostra continua nella seconda sala con il Monumento al cavallo triste, un cavallo in bronzo deforme, che dall’alto di un piedistallo piange come un bambino, zampillando vere e proprie lacrime, nella sottostante vasca di bronzo. «Mi intriga l’idea che esista un monumento equestre non pomposo, di un cavallo abbacchiato, un po’ fumetto e un po’ Picasso e un po’ me. Un giorno pensai all’idea di costruire un monumento per ogni attimo della mia vita (una di queste idee divenne una copertina de «la Lettura») oppure per ogni emozione che avevo provato. Se qualche essere umano triste guarderà questo monumento forse si sentirà un po’ meno solo, e anche un po’ meno triste».
È curioso: il lavoro di Picco dialoga con i grandi temi della vita eppure lo fa sempre con leggerezza: nella terza sala, il tema della religiosità pervade lo spazio che ospita (oltre a icone di santi sgangherati) anche tre sculture. La prima, un grande Buddha antico trafitto da boccette di ansiolitico. Il titolo è giocosamente provocatorio: Il Buddha aiutato.
A conferma del dialogo di Gabriele Picco con la scrittura, l’artista ha coinvolto lo scrittore Tiziano Scarpa che ha scritto una serie di «storie in rima», in verità poesie nonsense, che evocano la struttura dei Limerick e che accompagnano le opere in mostra. Una di queste, recita: «Poi immaginava Buddha depresso/ stufo di tutto, peso a sé stesso:/ «Basta sorrisi grassi e simpatici!/ Ho anch’io i miei guai: assumo ansiolitici».
Dialogo Accompagnano le opere in mostra le «storie in rima» di Tiziano Scarpa