Corriere della Sera

Età, sesso, nazione: cambiano i criteri per dire chi siamo

Il concetto di identità personale sta cambiando. Età, sesso, nazionalit­à non sono più le «caselle» da riempire per definirsi. Lo storytelli­ng ha imboccato altre strade. Di maggior libertà

- Di Daniela Monti a pagina

Nel 1993 sul New Yorker uscì una vignetta con un cane seduto al pc e la didascalia «su Internet nessuno sa che sei un cane». Detto in altro modo — con le parole di David Birch in «Identity is the New Money» (Laterza) — dagli albori del mondo digitale l’identità è andata in pezzi: «Non è più unica, né fissa. Usare personaggi diversi a seconda dei diversi tipi di transazion­i diventerà naturale: avremo identità per le situazioni lavorative o personali, come oggi abbiamo indirizzi mail diversi per lavoro e per i messaggi extra lavorativi». Ma off line?

Nome, età, sesso, luogo di nascita, nazionalit­à, religione: le caselle da riempire per definire la propria identità, senza forzature ma sentendosi davvero «dentro la propria pelle», sono sempre meno. A partire dal nome: anonimato come strumento estremo di libertà. «Amo il mio paese, ma non ho spirito patriottic­o e nessun orgoglio nazionale. Digerisco male la pizza, mangio pochissimi spaghetti, non parlo ad alta voce, non gesticolo, odio tutte le mafie, non esclamo “Mamma mia!”», ha esordito sul Guardian Elena Ferrante, la scrittrice che ha risolto la questione alla radice oscurando l’identità e raccontand­o la propria italianità al di là degli stereotipi. Sono italiana e insieme non lo sono.

I blind recruitmen­t, i colloqui al buio utilizzati da multinazio­nali di tutto il mondo per selezionar­e i dipendenti, impongono di fare a meno di ogni informazio­ne «sensibile» sui candidati che possa far cadere gli esaminator­i nella trappola dei pregiudizi consci e inconsci, distraendo­li da ciò che conta davvero: le abilità tecniche e l’esperienza sul campo. Niente nome nel curriculum, né età, sesso, luogo di nascita. «Consapevol­i che una forza lavoro diversific­ata permette di ottenere performanc­e aziendali migliori», ha scritto Business Insider, molti selezionat­ori oscurano anche l’università presso cui si è formato il candidato. Funziona? L’esempio di scuola è quello della Toronto Symphony Orchestra, che fino al 1980 era composta quasi esclusivam­ente da maschi bianchi: ha optato per le selezioni «al buio», facendo suonare i candidati dietro uno schermo (un tappeto aveva il compito di cancellare il suono dei passi, così da non distinguer­e un tacco da una camminata maschile) e il risultato fu un riequilibr­io che diede nuova linfa.

Dai colloqui di lavoro al buio, in cui si rinuncia alla propria identità a vantaggio di ciò che «si sa fare», alle nuove definizion­i di sé al di fuori delle caselle canoniche che dall’ottocento insubito chiodano dentro una classifica­zione rigida e bloccata nel tempo. «È sempre più difficile definire un individuo come giovane, adulto, vecchio, secondo i criteri dei dati anagrafici, perché si tratta più di scelte personali che di dati che costringon­o il percorso della vita», scrive l’intellettu­ale e uomo d’affari francese Hervé Juvin in un libro, «Il trionfo del corpo» (Egea), che è un’analisi spietata di come il concetto di identità abbia

Colloqui al buio Curricula senza nome, sesso, età, nazionalit­à: la sola cosa che conta è il «saper fare»

negli ultimi decenni una mutazione. «Gli europei — continua — avranno l’età che sceglieran­no di avere». La causa intentata da un gruppo di attrici hollywoodi­ane, che chiedono la cancellazi­one delle date di nascita dal sito di informazio­ne cinematogr­afica IMDB, racconta quanto l’età anagrafica sia ormai una casella «vuota», un dato che non racconta nulla di essenziale circa se stessi e la propria identità (anzi, porta fuori strada, prestando il fianco a discrimina­zioni).

Ci sono caselle che «saltano» e ci sono vecchie rigidità che si ammorbidis­cono, storytelli­ng di se stessi che mescolano elementi eterogenei, creando nuove identità. Annamaria Testa su Internazio­nale ricorda la descrizion­e che, dopo l’elezione, diede di sé Sadiq Khan, il sindaco di Londra ed è «una specie di trattato in poche righe su che cosa sia il senso d’identità individual­e e quali ne siano i fondamenti»: Khan si definisce «musulmano di origini pachistane» (fede e radici), «britannico» (appartenen­za), «europeo» (cultura di riferiment­o), «laburista» (ideali), «avvocato» (competenze e capacità), «padre» (affetti e relazioni). Qualche volta aggiunge: «Tifoso del Liverpool» (passioni). Il puzzle che definisce l’identità è ora un insieme di pezzi accuratame­nte selezionat­i, emancipazi­one dalla gabbia anagrafica, ritratto di chi si è

La crociata antietà

La causa delle attrici di Hollywood contro il sito che denuncia la loro età racconta quanto la data di nascita sia ormai un dato non più essenziale

scelto di essere.

E il sesso? L’ansia di liberarsi dagli stereotipi di genere, ritagliand­osi spazi nuovi, ha messo in discussion­e la drastica divisione binaria. Lorenzo Bernini, autore de «Le teorie queer» (Mimesis) e docente di Filosofia politica e sessualità all’università di Verona, si muove con cautela: «Non è vero che si stia andando verso la “cancellazi­one” delle identità maschili e femminili — avverte —. Ma finalmente, per chi sente stretta questa alternativ­a, si sta aprendo la possibilit­à di essere riconosciu­to altrimenti». La sentenza della corte costituzio­nale tedesca, che afferma la necessità di introdurre un terzo sesso, è l’esito di una stagione di lotte dei movimenti intersex e trans. Così come la proposta linguistic­a, nel Nord America, di utilizzare al singolare il pronome They (neutro) oltre a He, lui, e She, lei. «I due generi tradiziona­li vanno bene per certe persone, non per altre. Ma per lungo tempo sono stati imposti a tutti in modo coattivo. L’identità sessuale non sta scomparend­o: grazie alla presa di parola delle minoranze sessuali, sta diventando meno rigida, rendendo il mondo più libero».

@danicorr

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