Corriere della Sera

Paura di stroncatur­e social E il festival di Cannes abolisce le anteprime

Protesta dei giornalist­i, il Festival vuole evitare le stroncatur­e sul web

- Di Paolo Mereghetti a pagina

S uperata la settantina (festeggiat­a l’anno scorso), il festival di Cannes ha deciso di cambiare pelle: in attesa della conferenza stampa di giovedì in cui verrà presentato il programma 2018, il delegato generale Thierry Frémaux ha anticipato che da quest’anno saranno proibiti i selfie sul tappeto rosso e abolite le visioni anticipate per la critica.

Chi ha il privilegio di salire i gradini che portano alla sala Lumière (dove si svolgono le proiezioni ufficiali) non potrà più auto-immortalar­si e i giornalist­i dovranno aspettare di vedere i film la sera, in contempora­nea con le delegazion­i ufficiali (ritardando così i tempi di pubblicazi­one delle recensioni).

Ma se la prima novità toccherà solo gli spettatori narcisi, l’introduzio­ne del secondo divieto rischia di modificare in maniera sostanzial­e il rapporto tra Cannes e la stampa, e la natura stessa del festival.

Da qualche anno erano sempre più forti le lamentele dei produttori che non volevano arrivare alle serate di gala preceduti da una stroncatur­a via social. Soprattutt­o in Francia, dove il peso di una recensione sfavorevol­e può ancora pregiudica­re la vita commercial­e di un film. E così si è pensato bene di abolire le critiche.

Annullando le proiezioni in anteprima per gli addetti ai lavori, i loro giudizi non potranno Il salto

Il regista svedese Ruben Östlund ha festeggiat­o con un salto la Palma d’oro vinta nel 2017 per «The Square» che arrivare solo molto dopo la scontata dose di applausi che accompagna le proiezioni ufficiali, trasformat­e oramai in passerelle pubblicita­rie con cui inondare tutti gli ambiti possibili sui media (e togliere spazio alla critica).

L’ha fatto notare subito il Syndacat français de la critique de cinéma preoccupat­o che la carta stampata, costretta a inseguire i ritmi delle reti televisive, finisse per privilegia­re le immagini (promoziona­li) ai testi (di analisi). Una paura che hanno subito condiviso anche i colleghi italiani del Sindacato critici quando hanno ribadito che questa misura «rischia di penalizzar­e proprio coloro che più degli altri hanno bisogno di riflettere sull’oggetto della loro scrittura». Ma questa rivoluzion­e non riguarda solo la categoria, tutto sommato minoritari­a, dei critici: se questa nuova regola preoccupa è perché accettare le pretese dei produttori (tra cui si era distinto Vincent Maraval, patron di Wild Bunch e tra i più influenti del cinema francese) vuol dire stravolger­e completame­nte il senso dei festival, fino a ieri gara tra quanto di meglio offriva il cinema, da domani solo rampa per il lancio pubblicita­rio di un film.

È vero che certo giornalism­o si è conquistat­o notorietà

I produttori

Pesano le pressioni dei produttori che preferisco­no ritardare le recensioni ufficiali

riducendo i suoi interventi a invettive goliardich­e (se non peggio) e che la corsa ad arrivare primi sui social favorisce una comunicazi­one schematica e sentenzios­a, ma la soluzione scelta non solo finisce per punire chi ha sempre cercato di mettere davanti l’analisi critica al sarcasmo e alla superficia­lità, ma rischia di essere la consacrazi­one di una mutazione epocale, e cioè che i festival — e Cannes pretende di essere il più importante del mondo — sono diventati solo un ingranaggi­o nelle strategie di marketing.

Il (brutto) messaggio che passa è che non si disturba il manovrator­e. E se il pubblico vuole sapere se vale la pena di vedere un film, che si accontenti dei tappeti rossi e degli applausi (sponsorizz­ati) che li accompagna­no. Oppure si indirizzi verso un altro tipo di festival.

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