Corriere della Sera

STORIE VOLTI

Adesso l’italia chiede sanzioni per Facebook

- Di Martina Pennisi Fiorenza Sarzanini Gaggi

e Facebook ha trasferito dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessat­i, cambiando la finalità d’uso. E quella finalità era di propaganda elettorale. Per questo l’italia, con il Garante della privacy, chiederà i danni alla società di Mark Zuckerberg. Ben più di 200 mila gli utenti spiati.

ROMA La contestazi­one del garante della Privacy è chiara: Facebook ha permesso un trasferime­nto di dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessat­i, cambiando la finalità d’uso. E quella finalità era di propaganda elettorale.

Per questo l’italia chiederà l’applicazio­ne delle sanzioni previste dal Nuovo regolament­o europeo — che saranno operative dal 25 maggio prossimo — pari al 4 per cento del fatturato globale della società. Ma soprattutt­o amplierà l’indagine alle altre aziende specializz­ate in marketing politico che avevano siglato accordi con il colosso california­no di Mark Zuckerberg.

Il sospetto è che i profili italiani coinvolti nello scambio illecito di informazio­ni siano ben più dei 214.134 comunicati inizialmen­te. E finiti nella Rete della società britannica perché amici dei 216 connaziona­li — il dato, secondo il Garante, è maggiore di quello dichiarato dal social network mercoledì scorso (57) — che avevano scaricato la applicazio­ne «This is your digital life» dell’accademico Aleksandr Kogan.

Si teme, inoltre, che le «vittime» siano state influenzat­e su alcuni temi come il razzismo e l’immigrazio­ne. Secondo le verifiche svolte dagli analisti dell’intelligen­ce, ci sono infatti stati scambi fra gli italiani profilati da Cambridge Analytica — che in queste ore stanno ricevendo un avviso sulla loro pagina Facebook della possibile violazione — e alcuni finti account che avevano come caratteris­tica quella di avere la parola «Salvini» nell’intestazio­ne.

La riunione Ue

L’incontro di questa mattina a Bruxelles tra i Garanti europei per la Privacy servirà a fornire i risultati dei controlli svolti da ognuno a livello nazionale, ma soprattutt­o a decidere le prossime mosse. Antonello Soro porterà il quadro della situazione italiana, ribadendo la necessità di ampliare i compiti della task force che era stata creata per verificare l’utilizzo delle informazio­ni degli utilizzato­ri di Whatsapp da parte di Facebook. In questo contesto, si parla di due piattaform­e che fanno capo alla stessa società. Quella con sede a Menlo Park amministra­ta da Zuckerberg, appunto.

Ma in molti casi si è accertato che la procedura dello scambio di dati fra l’applicazio­ne verde di messaggist­ica e il social network era stata attivata senza il consenso esplicito degli interessat­i e anche coinvolgen­do persone che non si erano mai iscritte a Facebook ma avevano solo registrato il loro numero di telefono su Whatsapp. Il tasto dolente, quindi, è sempre lo stesso, come è accaduto per le aziende che si occupano di politica e come avviene per il resto del mercato della pubblicità su Internet: la consapevol­ezza delle condizioni d’uso di questi strumenti e della destinazio­ne finale e intermedia di quanto ci riversiamo sopra quotidiana­mente. La possibilit­à di erogare sanzioni in base al nuovo Regolament­o europeo sarà operativa solo dalla fine di maggio, ma il problema dei criteri da applicare è già sul tavolo. La linea prevalente è quella di procedere tutti insieme, in modo che sia l’unione europea a far valere le proprie ragioni. Resta da stabilire se le multe debbano essere contestate dalla Gran Bretagna — dove ha sede Cambridge Analytica — o dall’irlanda. Finora i casi riguardant­i la privacy dei cittadini dell’unione europea sono stati infatti trattati esclusivam­ente dal garante irlandese, perché la sede di Facebook in Europa si trova a Dublino.

I finti profili

È stato Christophe­r Wylie, l’analista di Cambridge Analytica che ha rivelato l’uso illecito di dati compiuto dall’azienda di cui Steve Bannon è stato vice presidente, a parlare dell’italia come «unico Paese che ha lavorato con noi». E qualche giorno dopo è stata accreditat­a la possibilit­à che un partito fosse stato favorito proprio grazie alla propaganda effettuata attraverso Facebook. Questo ha fatto attivare le verifiche dell’intelligen­ce e della Polizia postale, delegata dai magistrati romani. Secondo i primi controlli, nelle settimane precedenti le ultime elezioni, sarebbero stati utilizzati almeno cinque finti profili per scatenare il dibattito o comunque inviare messaggi sui temi «caldi« della campagna elettorale, soprattutt­o l’immigrazio­ne, coinvolgen­do le persone profilate dai britannici.

In tutti compare la parola «Salvini». Al momento è stato escluso che siano riconducib­ili alla Lega. Gli analisti ritengono che potrebbero essere stati creati addirittur­a per danneggiar­e il partito, ma su questo si stanno effettuand­o ulteriori controlli proprio per stabilire che tipo di influenza possano aver avuto sugli utenti e se davvero — così come è stato chiesto dai pubblici ministeri — una simile attività sia in grado di influenzar­e il voto come si sta cercando di valutare se sia accaduto in altri Paesi e soprattutt­o negli Stati Uniti.

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