Tim, il danno del muro contro muro
Il board a maggioranza: illegittima la decisione di accogliere le richieste del fondo Usa Verso un ricorso d’urgenza. Il collegio: tutto secondo le regole. Nessuna lista Assogestioni
Il muro contro muro emerso ieri all’interno del consiglio d’amministrazione di Tim non fa presagire niente di buono per il gruppo. Quale che sia la forza a prevalere, Vivendi o Elliott, per l’antica Telecom le prossime settimane saranno di passione.
Il consiglio di Tim si spacca ancora. Nell’ultimo giorno utile per integrare l’ordine del giorno dell’assemblea in programma il prossimo 24 aprile, il board del gruppo telefonico ha deciso a maggioranza che la richiesta di revoca di otto consiglieri ripresentata dal collegio sindacale — dopo lo stop alla richiesta del fondo Elliot — è illegittima. La decisione è stata presa ieri dopo aver chiesto pareri ai giuristi Piergaetano Marchetti, Giuseppe Portale e Roberto Sacchi, e si basa sulla non conformità dell’iniziativa dei sindaci, che può avvenire «soltanto in caso di inerzia» del consiglio, spiega una nota diffusa da Tim, e sul fatto che questa sia stata presa in seguito a una nota di Elliott arrivata il 24 marzo, oltre i termini consentiti. Inoltre spiega sempre la nota di Tim, essendo intervenute nel frattempo le dimissioni della maggioranza dei consiglieri (gli otto in quota Vivendi) la richiesta di revoca contrasta con lo Statuto della società che in questo caso prevede l’intero rinovo del board. Per questi motivi l’integrazione dell’ordine del giorno sarà impugnata dal consiglio con un ricorso d’urgenza (ex Art.700) che mira a ottenere la sospensione, ovvero a escludere dal voto dell’assemblea del 24 aprile la revoca dei consiglieri e la nomina dei nuovi indicati da Elliott.
Sebbene sia passata in consiglio la linea di Vivendi, finché non si sarà pronunciato il giudice la revoca resta all’ordine del giorno. E resta anche la spaccatura insanabile, non da oggi, tra i consiglieri di Tim indicati da Vivendi, quelli di minoranza e il collegio sindacale. Spaccatura che risulta evidente anche dal comunicato diffuso ieri da Tim al termine del consiglio, in cui viene definita «errata e particolarmente grave» l’iniziativa del collegio sindacale, da cui il board si è dissociato annunciando ricorso. I consiglieri di minoranza non solo hanno votato contro ma si sono anche rifiutati di firmare il comunicato finale, mentre il collegio sindacale ha ribadito la legittimità della propria iniziativa e in una nota separata ha spiegato le motivazioni che l’hanno portato ad agire «solo ed esclusivamente nell’ottica di dar corso con scrupolo e serietà ai propri compiti con l’obiettivo della tutela dell’interesse di tutti gli azionisti».
Arrivare all’assemblea del 4 maggio è l’obiettivo di Vivendi, che con il 24,8% di Tim ritiene di avere i numeri per ottenere la maggioranza nel nuovo board. Ma per blindare il risultato ora deve attendere la pronuncia di un giudice. Intanto Elliott ha rafforzato la presa sul gruppo telefonico salendo al 13,7% del capitale (9% in azioni e 4,7% in opzioni con Jp Morgan), e si è messa in movimento anche la Cassa depositi e prestiti iniziando a comprare piccoli pacchetti per arrivare al 5%.
Il fondo Usa può contare inoltre sul sostegno dei grandi money manager (i fondi internazionali hanno il 45% di Tim) a cui sia Glass Lewis sia Iss, i due maggiori proxy advisor, hanno raccomandato di votare a favore della revoca ritenendo la gestione Vivendi «più un peso che una risorsa per Tim» sulla base di motivazioni che potrebbero valere anche in caso di rinnovo del consiglio. Rinnovo a cui Elliott si avvia adesso con qualche margine di manovra in più dopo che Assogestioni ha deciso di non presentare una lista di candidati all’assemblea di Tim del 4 maggio, in cui con ogni probabilità i voti dei fondi comuni confluiranno sulla lista americana.