«Mai al governo con i dem Cambiamo FI, poi partito unico»
Toti: basta dirigenze chiuse e ristrette. Intesa con il M5S e Salvini premier
Un governo che «rispecchi la volontà degli elettori», guidato dal centrodestra in alleanza con il M5S, non con «il Pd, punito dal voto». Un partito, Forza Italia, che passi dalla «monarchia assoluta» berlusconiana ad una «costituzionale», con la ridefinizione dei propri valori e programmi, delle regole interne, della classe dirigente non più da nominare ma da far emergere dal confronto di maggioranze e minoranze che dovranno avere «rappresentanza e riconoscimento». Questi, dice Giovanni Toti, sono i temi sui quali «serve una profonda riflessione».
Oltre a discutere, lei fa anche da punto di riferimento di dissidenti azzurri che si riuniscono in questi giorni?
«Non partecipo né organizzo riunioni, anzi agli amici che mi hanno chiesto un parere ho suggerito di non prestare il fianco ad accuse, meglio evitare la confusione in un momento delicato. Ma al mio partito chiedo di riflettere e presto, prima che il reale malessere e la delusione di molti esplodano davvero».
L’obiettivo è sempre il partito unico?
«Penso sia l’approdo necessario per forze politiche che vogliano affrontare il futuro: sarebbe una semplificazione eccezionale, ed elettoralmente una risposta ai cittadini che chiedono di poter scegliere con chiarezza da chi essere governati. Ma prima di arrivarci, serve una ristrutturazione profonda di FI e delle forze spesso civiche che le ruotano attorno».
Cioè, lei non sta organizzando truppe da portare in una Lega allargata, come qualcuno sospetta...
«Purtroppo si ha a che fare con malignità. Io mi rivolgo al partito cui appartengo, non voglio come qualcuno maliziosamente sussurra, trasferirmi nella Lega: si smetta di usare le categorie della sedizione e del tradimento per chi cerca di ragionare facendo proposte, e se serve anche critiche. Finora non ho visto velleità annessionistiche nella
Non partecipo né organizzo riunioni Ma al mio partito credo di riflettere presto, prima che il malessere e la delusione di molti esplodano
Lega, che peraltro non avrebbero senso per chi ambisce a rappresentare il centrodestra e non solo una sua parte».
Quindi che cammino immagina per FI?
«Basta con l’asfittico metodo delle dirigenze chiuse e ristrette, quelle che escludono chi lavora sul territorio, chi tiene vivo il partito. Non si può continuare con la filosofia del “meno siamo meglio stiamo”, diamoci regole».
Si parla di Tajani al vertice di FI: un passo avanti?
«È l’esponente del partito più alto in grado a livello istituzionale, umanamente e politicamente avrebbe tutte le carte in regola per rivestire qualsiasi ruolo in FI. Ma serve un metodo. I caminetti e i comitati ristretti non hanno portato bene. Partiamo dai contenuti, poi ci si darà un’organigramma, coinvolgendo tutte le aree del partito, e dando democraticamente rappresentanza sia alla maggioranza che alla minoranza interna. Nulla di personale su Antonio, ma qualsiasi scelta fatta con i metodi usati finora sarebbe un passo indietro».
Sul governo serve un’intesa col M5S?
«Ritengo che non si possa che partire da lì, dalla coalizione e dal partito che hanno vinto le elezioni. Il Pd è stato severamente punito, non sarebbe comprensibile per gli elettori un’alleanza con loro, e politicamente non si dà la golden share del governo a chi è stato sconfitto».
Un governo di minoranza la convince?
Tajani vicepresidente di FI? È l’esponente più alto in grado a livello istituzionale e potrebbe rivestire qualsiasi ruolo Ma serve un metodo
«Lo considererei largamente imprudente: se non ci fosse accordo preventivo tra partiti, si esporrebbe il premier incaricato a una bocciatura. Oppure, ed è quasi peggio, si darebbe il segnale di una transumanza di parlamentari già a inizio legislatura. Non un bello spettacolo per i cittadini».
Ma tra centrodestra e M5S chi esprime il premier?
«Il centrodestra ha vinto le elezioni e deve esprimere il premier, Salvini. E si deve partire dal nostro programma per confrontarsi con il M5S, che farebbe bene a scendere dall’astronave e a sporcarsi i piedi qui sulla terra».
Resta il no di Di Maio nei confronti di Berlusconi.
«Spero siano posizioni strumentali, o sarebbero infantili: i veti e le legittimazioni non le danno i leader, ma gli elettori, gli unici titolati a dare patenti politiche».