Corriere della Sera

Dalla cosca un messaggio terroristi­co

- di Giovanni Bianconi

C’era un obiettivo, ma probabilme­nte anche un messaggio, nella bomba-killer esplosa ieri a Limbadi. I sospetti sul clan Mancuso, la tentacolar­e famiglia di ’ndrangheta che controlla quella porzione di territorio nel vibonese, sono scattati come una sorta di riflesso condiziona­to; prima ancora delle notizie su rapporti contrastat­i tra la vittima e vicini che portano quel cognome. Ma le indagini sono solo all’inizio, e ci vorrà molto altro per attribuire qualche responsabi­lità. Tuttavia di una cosa si può difficilme­nte dubitare: che un’azione tanto eclatante sia sfuggita a quella che pure nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia viene descritta come «la potente cosca che esercita una diffusa e consolidat­a egemonia nella provincia di Vibo Valentia». Undici figli da cui sono discesi quasi altrettant­i gruppi criminali dediti al traffico di droga e altre attività criminali, anche a livello internazio­nale. Al di là del movente, aver messo una bomba sotto la macchina della vittima, anziché ricorrere a sistemi più «convenzion­ali», assume il significat­o di un segnale di stampo terroristi­co lanciato dagli assassini: a potenziali altri soggetti d’intralcio agli affari del clan, ma anche a cosche avverse che volessero mettere in dubbio la «consolidat­a egemonia». Di cui in passato c’era stato qualche segnale. E infine allo Stato che proprio ieri, attraverso le parole del procurator­e di Catanzaro Nicola Gratteri, aveva ribadito l’esigenza di «riprenderc­i con più determinaz­ione e con più forza, con maggiore vigore, il territorio dell’intera provincia di Vibo». Un’esigenza che, dopo la bomba, si fa ancora più urgente.

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