Corriere della Sera

Italia penultima nella Ue per laureati, peggio della Turchia

I dati Eurostat 2017: con il 26,5% siamo a un passo dalla maglia nera. «Sempre meno investimen­ti»

- 60 50 40 30 20 (Lapresse) Gianna Fregonara Orsola Riva

A strapparci la maglia nera ci hanno pensato i romeni. Ma se continuiam­o a pedalare in salita presto ci supererann­o anche loro. L’italia è penultima in Europa per giovani laureati: poco più di un 3034enne su quattro contro una media Ue che sfiora il 40%. Non che di strada non ne sia stata fatta, ma rispetto ad altri Paesi andiamo troppo piano.

Negli ultimi dieci anni siamo passati dal 18,6% al 26,5% di laureati (dati provvisori Eurostat 2017), mentre i romeni, che ci hanno quasi raggiunto (26,3%), partivano da molto più indietro (13,9%). La causa è riconducib­ile alla mancanza di politiche a sostegno dell’università: «Mentre il resto d’europa investiva sempre più soldi, noi negli ultimi 10 anni abbiamo stretto i cordoni della borsa», spiega Cristina Messa, rettrice di Milano Bicocca. Ed è vero che gli ultimi due governi hanno invertito la tendenza, ma 7 miliardi l’anno non possono competere con i 24 della Francia e i 30 della Germania.

La mancanza di fondi si è tradotta in un aumento delle rette universita­rie, mentre il sistema del diritto allo studio fa acqua (la «no-tax area» varata da Gentiloni non basta a cancellare l’anomalia italiana che sono gli «idonei non beneficiar­i» di una borsa di studio). Non sorprende che, nonostante le immatricol­azioni siano in ripresa, il tasso di passaggio dalle superiori all’università sia ancora solo poco più del 50%.

In anni di crisi, i più danneggiat­i sono stati i diplomati tecnici, anche per la mancanza della formazione terziaria profession­alizzante capace di sfornare in poco tempo «specializz­ati» per il mercato del lavoro. E naturalmen­te il Sud, penalizzat­o dalla nuova distribuzi­one premiale dei fondi che — spiega l’economista Gianfranco Viesti, autore di La laurea negata — «in realtà è punitiva per tutti, anche per gli ottimi atenei del Nord. Un esempio: le spese operative del Politecnic­o di Milano sono del 29% più basse di quelle del Politecnic­o di Zurigo».

Non solo fatichiamo a fabbricare dottori ma quei pochi che abbiamo li buttiamo via (o li regaliamo ad altri), complice un sistema di piccole

Laureati in Europa imprese a conduzione familiare che penalizza i dottori e le dottoresse (che — ironia della sorte — sono molte di più: 33,5% contro meno del 20%). Uno spreco enorme. Spiega Viesti: «Nel Rapporto sulla conoscenza, l’istat mostra che un anno d’istruzione in più dei dipendenti di un’azienda si traduce in un aumento del fatturato del

(in % nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 34 anni) 2014 2015 2016 2017 5%». Mentre si è diffusa l’idea sbagliatis­sima che la laurea non sia un vantaggio, col rischio «che l’italia in pochi anni si trovi in serie B».

Eppure ci sarebbero almeno tre linee di intervento a basso costo. Primo: visto che una matricola su tre abbandona o cambia corso, perché non usare parte dell’alternanza scuola-lavoro per l’orientamen­to universita­rio? Secondo: investire una cifra che Viesti stima fra il mezzo miliardo e il miliardo in misure per il diritto allo studio. Terzo: aumentare le lauree profession­alizzanti (per ora 12 corsi per 500-600 giovani). «Non è solo questione di quanti laureati formiamo — conclude Cristina Messa — ma anche di quali: ci vorrebbero politiche specifiche per “sostenere” alcuni tipi di laurea richiesti dal mondo del lavoro».

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