Corriere della Sera

ABBIAMO POCHI LAUREATI MA QUEL TITOLO È ANCORA IMPORTANTE

- di Roger Abravanel

La cattiva notizia dell’ultima statistica Eurostat è che ci sono sempre meno iscritti all’università in Italia, confermand­o che i giovani pensano che la laurea serva a poco per il successo profession­ale. Sbagliano perché la laurea conviene ancora, solo che bisogna prendere quella più utile (ingegneria, economia), nelle migliori università, possibilme­nte laurearsi senza andare fuori corso e avere lavorato durante gli studi. Quando ci si laurea in una università mediocre, in facoltà non troppo utili e a 28 anni, senza avere mai lavorato, trovare un impiego è difficile. Ma nelle statistich­e Eurostat c’è anche una buona notizia: aumentano le donne iscritte e laureate. Questo è un bene perché riduce il gap di genere nel nostro Paese. Non vorrei però che si trattasse solo di un’ulteriore conferma della capacità femminile di studiare e del desiderio di usare la laurea soprattutt­o come affermazio­ne sociale. Visto che al potere politico ed economico continuano ad andare i maschi che spesso non hanno neanche bisogno della laurea. E le recenti elezioni sembrano rafforzare quest’idea. La politica del passato ha spinto per il «diritto allo studio» («Liberi e uguali» voleva l’università gratuita) mentre ci vorrebbe il «diritto al lavoro»: si laureano i figli dei ricchi perché i poveri non hanno la certezza del lavoro e, con le proprie tasse, pagano le lauree dei ricchi. Ciò non ha mai fatto nascere una seria riforma della università: riconoscer­e più autonomia a poche università di élite che competono a livello internazio­nale per finanziame­nti privati e controllar­e più strettamen­te la didattica di università di «massa» totalmente pubbliche e molto più meritocrat­iche di oggi. Cosa farà la nuova politica per la quale la laurea non sembra essere un prerequisi­to per il successo?

meritocraz­ia.corriere.it

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