La fiction politica supera la letteratura
Colpiva, nei giorni scorsi, un titolo del Manifesto che a proposito della politica italiana postelettorale (servizio a firma Daniela Preziosi) portava una parola che di solito si usa per la letteratura: «fiction». Il Pd finge di leggere nelle parole pronunciate da Di Maio un’apertura al dialogo. E in effetti era una finzione (o una finta) anche la (finta) avance dei 5 Stelle che il Pd fingeva di prendere sul serio. Difficile dire se davanti alla (finta) proposta grillina i democratici si siano divisi per davvero o per finta. Ed è altrettanto difficile dire se alcuni renziani abbiano dichiarato sinceramente che bisogna ascoltare i «ribelli» del partito oppure se l’abbiano detto per amor di fiction. Del resto, la campagna elettorale è stata impostata su scenari degni degli scrittori di fantascienza, ovviamente senza la stessa prospettiva utopica o distopica: chi delineava questo futuro chi l’altro, sempre rigorosamente privo di relazione con la realtà economica e sociale. E oggi Di Maio e Salvini si fingono personaggi protagonisti e «ii» narranti dei rispettivi romanzi epico-fantastici: l’uno fingendo di imporre le proprie scelte con patti e contratti immaginari e l’altro fingendo di avere una maggioranza che non ha, mentre Berlusconi finge di contare ancora qualcosa, Renzi finge di ritirarsi sull’aventino e gli anti renziani fingono di imbastire un’opposizione interna e un dialogo esterno. Il paradosso è che mentre la letteratura che va per la maggiore si muove sempre più verso nuove forme di realismo non-fiction - con montagne di gialli sociali, memoir, inchieste e reportage mascherati da romanzi - la politica non fa che inventare storie assurde spacciandole per verosimili. C’è una divaricazione spaventosa tra la fantasia dei politici nel creare mondi fittizi e la povera visionarietà degli scrittori. Cinquant’anni fa uscì un libro intitolato Letteratura come menzogna, in cui Manganelli riassumeva lo spirito della neo-avanguardia che si opponeva ai propugnatori del realismo impegnato. La letteratura, per Manganelli, doveva rivendicare il proprio essere libero ballo verbale sul ciglio del vuoto. Oggi un Manganelli redivivo potrebbe scrivere un saggio sulla Politica come menzogna: è la politica il vero ballo danzato sull’orlo dell’abisso (il nostro). Mentre agli scrittori tocca l’ingrato compito di dire qualcosa che somigli alla verità.