La vista corta che non aiuta la competitività delle telecom
Prevarrà la visione dei francesi ovviamente legata non solo alle sorti del gruppo italiano, ma a quelle più generali di Vivendi, uno dei maggiori attori maggiori nei media in Europa? O quella di un fondo che con la sua azione ha scosso la società ponendo l’accento sul futuro a iniziare dall’assetto e dal perimetro del gruppo? Di sicuro quella che era una società cuore dell’innovazione in Italia dovrà distinguere le vicende degli azionisti da quelle del gruppo operativo. L’ultima cosa che c’è da augurarsi è uno stallo fatto di atti e ricorsi, avvocati e carte. Tanto più che a detta di entrambi i due contendenti, i vertici operativi dovrebbero essere riconfermati. Non c’è in ballo italianità o meno. Il passaporto è un falso problema quando le aziende rientrano in progetti-paese. Piuttosto è l’assenza di questi progetti che è spiccata in queste ore. Chi garantirà che l’eventuale rete scorporata da Tim e magari fatta confluire con la Open Fiber (controllata a metà da Cdp e Enel) potrà contare su un flusso tale di investimenti da restare non solo competitiva ma all’avanguardia in Europa? Come potranno aziende private e aziende pubbliche concorrere alla competitività del Paese in questo campo? E’ in questi momenti che si sente l’assenza della politica. Certo, la politica (tutta) ha spinto per l’ingresso della Cassa depositi in Tim con il 5%. E’ un atto finanziario che ricorda a Vivendi e a Elliott che c’è un interesse-paese che va ben oltre quello dei contendenti, ma che purtroppo è ben distante dal tramutarsi in una visione sul settore. E cioè dall’indicare quali comportamenti verranno agevolati e quali sconfessati. In poche parole quei lineamenti di politica industriale che orientano le imprese pubbliche o private che siano. E che le spingono a fare determinate scelte piuttosto che altre. Una debolezza ben più profonda della forza mostrata con la mossa Cdp.