Corriere della Sera

Tante impronte sulla Carta

Nella Costituzio­ne idee cattoliche, liberali, marxiste. E tracce del fascismo

- Di Sabino Cassese

Nel 1995, Massimo Severo Giannini, uno degli studiosi che prepararon­o la Costituzio­ne, riassumeva così la sua valutazion­e della Carta costituzio­nale del 1948: «Splendida per la prima parte (diritti-doveri), banale per la seconda (struttura dello Stato), che in effetti è una cattiva applicazio­ne di un modello (lo Stato parlamenta­re) già noto e ampiamente criticato». Da dove è stata attinta questa prima parte «splendida», quale è stata l’«officina di idee» che l’ha prodotta?

Piero Calamandre­i ha fornito una chiave per individuar­e le fonti ideali delle norme costituzio­nali quando ha detto, nel 1955, che esse furono «il testamento di centomila morti, scritto con sangue di italiani nel tempo della Resistenza», ma anche «un punto di ripresa del pensiero politicoci­vile italiano, dove parlano le “grandi voci lontane” di Beccaria, Cavour, Pisacane, Mazzini».

La Costituzio­ne ebbe una breve gestazione — non più di un triennio —, ma la sua maturazion­e ideale non fu altrettant­o breve. Essa non nacque come Minerva armata dalla testa di Giove. Vi sono intessute culture, aspirazion­i, esperienze, ideologie di diversa provenienz­a, di epoche differenti.

Di questo contenuto profondo dei principi costituzio­nali non posso fare qui che qualche esempio, e soltanto in forma interrogat­iva, avanzando ipotesi. Come arriva la diade della Costituzio­ne termidoria­na (non delle precedenti Costituzio­ni francesi rivoluzion­arie) «diritti e doveri» negli articoli 2 e 4, nonché nel titolo della parte prima della Costituzio­ne italiana? Non bisogna riconoscer­e dietro alla formula del secondo comma dell’articolo 3, quello sull’eguaglianz­a in senso sostanzial­e, la critica marxista della eguaglianz­a meramente formale affermata dalle Costituzio­ni borghesi e il successo che solo pochi anni prima, nel 1942, aveva avuto anche in Italia il «piano Beveridge» con la sua libertà dal bisogno? Come spiegare la circostanz­a che dei 1357 lemmi della Costituzio­ne uno di quelli che hanno il maggior numero di occorrenze è «ordinament­o», senza capire che «così dalla prima commission­e la grande ombra di Santi Romano si estendeva all’assemblea, come se il piccolo libro fosse stato scritto a favore dei Patti Lateranens­i», come notato nel suo solito stile immaginifi­co da La Pira nel suo intervento sull’articolo 7? Ed è possibile ignorare la lunga storia del cattolices­imo italiano e del suo rifiuto dello Stato (la «questione romana»), che si intreccia con l’idea romaniana della pluralità degli ordinament­i giuridici o ispira le norme dove si afferma, prima che lo Stato garantisca i diritti o promuova le autonomie, che questi vadano riconosciu­ti, e quindi, preesiston­o allo Stato, consolidan­do quindi il pensiero della corrente antipositi­vistica (perché lo Stato viene dopo le persone, le «formazioni sociali» e gli ordinament­i originari non statali)? Si possono comprender­e le norme costituzio­nali sul patrimonio storico e artistico e sulla scuola ignorando l’elaborazio­ne, in periodo fascista, a opera di Giuseppe Bottai, di Santi Romano, di Mario Grisolia, della legislazio­ne sulle cose d’arte e della «carta della scuola», quindi senza riconoscer­e che la Costituzio­ne antifascis­ta ha raccolto anche l’eredità del fascismo? Infine, come intendere la portata dei programmi economici per indirizzar­e a fini sociali l’impresa privata, senza considerar­e una duplice esperienza, quella della pianificaz­ione economica sovietica e quella del New Deal roosevelti­ano?

Nel melting pot costituent­e, furono raccolte, messe insieme, ordinate queste diverse idee, culture, esperienze, e altre ancora, che si mescolavan­o all’esigenza di riportare libertà e rispetto per i diritti nel Paese. La Costituzio­ne rappresent­ò una reazione al regime illiberale fascista, ma fu anche il precipitat­o di ideali di epoche diverse (risorgimen­tale, liberaldem­ocratica, fascista), Paesi diversi (specialmen­te quel- li che si dividevano il mondo, gli Stati Uniti e l’unione Sovietica), aree diverse (quella cattolica, quella socialista e comunista, quella liberale), orientamen­ti dottrinali opposti (quello statalisti­co e quello pluralisti­co).

Calamandre­i ebbe l’intelligen­za di riconoscer­e questo sguardo lungo della Costituzio­ne, ma — forse prigionier­o dell’idea che la Resistenza fosse un secondo Risorgimen­to — si fermò alla segnalazio­ne del contributo ideale di autori lontani, Mazzini, Cavour, Cattaneo, Garibaldi, Beccaria. Nel discorso del 1955 tralasciò il contributo che proveniva da altri Paesi e da epoche più vicine, specialmen­te dal fascismo, un contributo che prova la lungimiran­za degli autori della Costituzio­ne, antifascis­ti che recuperaro­no l’eredità del fascismo (ma questo a sua volta aveva sviluppato ideali e proposte dell’età liberale).

Questo risultato non fu sempre positivo, come osservava Giannini, perché la seconda parte della Costituzio­ne (o, meglio, quella relativa alla forma di governo) sembrò dimenticar­e proprio la lezione del passato, come alcuni costituent­i dissero ai loro colleghi, ricordando che anche dalle debolezze del sistema parlamenta­re liberale era scaturito il fascismo. Ciò avrebbe richiesto un sistema di stabilizza­zione dei governi, pure auspicato da molti (e anzi accettato in linea di principio dalla ampia maggioranz­a che votò l’ordine del giorno Perassi), secondo il quale il sistema parlamenta­re doveva avere «dispositiv­i idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e a evitare degenerazi­oni del parlamenta­rismo».

Come osservava Paolo Ungari molti anni or sono, «l’intera vicenda della cultura giuridica italiana fra le due guerre dovrebbe essere attentamen­te ripercorsa, e non solo al livello delle discussion­i universita­rie, per rendersi conto del patrimonio di idee e di tecniche degli uomini che sedettero nelle varie commission­i di studio del periodo intermedio, dalla commission­e Forti a quella sulla “riorganizz­azione dello Stato”, nonché alla Consulta e alla Costituent­e stessa».

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Al verticeQua­ttro ministri del primo governo De Gasperi, in carica quando venne eletta la Costituent­e. Da sinistra: Palmiro Togliatti, Enrico Molè, Alberto Cianca, Luigi Gasparotto (Archivio storico Olivetti)

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