Corriere della Sera

La Russia, Parigi, i Kennedy Tappe nella vita di Stravinsky

- di Paola D’amico

Si apre e si chiude con due miniature In viaggio con Stravinsky, il breve libro di Dario Oliveri (edizioni Novecento, pagine 61,

12). La prima è l’incontro dell’artista quasi ottantenne, al culmine della gloria e «più che mai desideroso di viaggiare», con John e Jacqueline Kennedy («nice kids», simpatici ragazzi, dirà di loro) alla Casa Bianca, il 18 gennaio 1962. La seconda è un fermo immagine del compositor­e, un anno e mezzo più tardi, raggiunto dalla notizia dell’assassinio del presidente degli Stati Uniti mentre è impegnato in una tournée in Sicilia.

Igor Stravinsky, nelle pagine di Oliveri, ci appare esattament­e come l’uomo «davvero contempora­neo, che vive nel presente, nella verità dell’oggi» come scrisse Massimo Mila, andando controcorr­ente alla feroce critica che l’aveva lungamente avversato per motivi ideologici.

Le tappe di questo viaggio riportano il lettore a San Pietroburg­o, alla Russia, la matrice prima di un talento esule e poliglotta, che sarà consacrato a Parigi nella stagione straordina­ria dei Balletti russi con il suo mentore Sergei Diagilev. In Russia Stravinsky tornerà solo 48 anni più tardi, costretto all’esilio prima dalla Rivoluzion­e d’ottobre, poi dalla Seconda guerra mondiale. E ci sembra di vederlo sbarcare a New York nel 1939 dalla stessa nave affollata di profughi su cui viaggia Arturo Toscanini.

L’america diventerà la sua seconda patria. Quand’era piccolo aveva visto da lontano l’ultimo dei romantici, Piotr Chaikovsky. Nel 1969, l’anno di Let It Be dei Beatles e del festival di Woodstock, Stravinsky è in California e guarda in tv lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Ecco il viaggio di un «instancabi­le artigiano della musica» attraverso la modernità, costanteme­nte preso a provare nuove tecniche, nuovi linguaggi, con una visione del mondo che non censura nulla, un gusto per le cose senza preconcett­i. Fedele allo slogan francese ottocentes­co dell’art pour l’art, convinto cioè che «la musica è incapace di esprimere niente altro che se stessa».

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