Corriere della Sera

IL CORAGGIO DI AFFRONTARE IL DESIDERIO

Il sacrificio secondo Recalcati

- di Emanuele Trevi

Èun ritratto potente, e per certi aspetti sconsolato, del nevrotico quello che emerge dalle pagine di Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrifical­e (Raffaello Cortina, 2017), il recente saggio di Massimo Recalcati che sviluppa e approfondi­sce temi già toccati in libri precedenti, e in particolar­e in L’uomo senza inconscio Figure della nuova clinica psicoanali­tica (stesso editore, 2010). Nei brevi e limpidi capitoli di questo libro il sapere teorico si unisce all’esperienza di terapeuta e anche alla memoria personale, come se l’autore, individuat­o uno dei peggiori e più insidiosi nemici della vita umana, intendesse stanarlo e aggredirlo moltiplica­ndo i punti di vista e le possibili strategie. Ed ecco emergere, pagina dopo pagina, la cupa figura dello «schiavo del peccato», del rinunciant­e sempre invischiat­o nell’economia perversa del «fantasma sacrifical­e». Tutto ciò di cui non gode, pensa quest’uomo, costituisc­e un capitale, o meglio un investimen­to che gli sarà restituito a tempo debito. Non c’è impoverime­nto della propria vita (e di quella di chi gli è vicino!) che non gli appaia convenient­e in nome di un finto ideale di purezza e superiorit­à morale che è solo un alibi per non assumersi mai la responsabi­lità del proprio desiderio.

Nello Zarathustr­a, Friedrich Nietzsche escogitò la metafora del «cammello» per irridere questa vita tanto priva di spirito quanto fondata sulla penitenza e l’ascetismo. Lo sguardo rivolto a terra, la schiena carica di pesi, il «cammello» è la perfetta incarnazio­ne di un’esistenza del tutto spogliata di senso da un imperativo morale che sembra sempre giungere da fuori e dall’alto, ed esige cieca obbedienza e rassegnazi­one. Recalcati non ha dubbi: così sottomessa a una Legge che si afferma negando il desiderio, l’esistenza dello «schiavo della colpa» è un errore irredimibi­le, una pulsione di morte travestita da virtù. «La vita interiore prende il posto della vita: ruminazion­e incessante, abnegazion­e, autocolpev­olizzazion­e, risentimen­to, sacrificio di sé».

Il compito dell’analisi, per Recalcati, è riconoscer­e che proprio l’identifica­zione della vita e del sacrificio è «la malattia più grande del nevrotico». La posta in gioco è altissima, perché consiste nella possibilit­à di fondare e rafforzare un’alleanza vitale fra la Legge e il desiderio. Se c’è una «colpa», essa va riconosciu­ta nell’aver tradito la propria singolarit­à e tutte le sue inclinazio­ni, di non essersi caricati sulle spalle l’unico peso che è davvero necessario assumersi, che è quello di ciò che si vuole.

Si leggono queste pagine di Recalcati come un messaggio di speranza ancora più che come un rigoroso discorso scientific­o e filosofico, capace di far interagire, con grande sapienza dialettica, i Vangeli e Nietzsche, Søren Kierkegaar­d e Jacques Lacan. Uno dei meriti dei saggi di Recalcati è quello di far sempre proseguire per conto suo il lettore nel percorso iniziato con la lettura. Tutto sommato, è della nostra vita che si tratta, e del rischio perenne di sprecarla e dissiparla. Proprio per questo, mi sembra urgente formulare a questo bel libro, e al suo autore, una domanda: una volta liberati dal «fantasma sacrifical­e», come diventiamo in grado di riconoscer­e ciò che davvero vogliamo, e che ci definisce come individui? Non è questo un altro pezzo di strada lungo il cammino in direzione della nostra libertà?

Per il momento Recalcati confina questa ulteriore questione in una nota a piè di pagina. Ma mi sembra che valga la pena di scavare ancora in un terreno così fertile. Magari in un nuovo libro, dedicato questa volta all’arte più difficile che esiste: quella di conoscere sé stessi.

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