Palazzo Citterio apre le porte (e ora deve cominciare a vivere)
La conclusione dei lavori di restauro a Palazzo Citterio (saranno presentati domani) pone Milano nella condizione più vicina a ciò che negli ultimi quarant’anni si è chiamato Grande Brera.
Non risolve i problemi del complesso di Brera (quelli dipendono dalla nuova sede per l’accademia), ma rende disponibili alla Pinacoteca 6.500 metri quadrati per l’esposizione di arte moderna e per mostre temporanee. È bene che la città non s’incisti in estenuanti valutazioni sull’intervento: questo edificio va utilizzato e James Bradburne, direttore di Brera, deve procedere con un allestimento che valorizzi gli spazi di questo palazzo del 1764, che ha subito cambiamenti nell’ottocento e ricostruzioni dopo la Guerra.
Palazzo Citterio fu acquistato dallo Stato nel 1972 per risolvere i problemi di ampliamento di Brera. Nel 1975 gli architetti Ortelli, Sianesi e Sambonet misero mano a un progetto (Brera 1 e Brera 2), rimuovendo lo scalone d’ingresso del palazzo. Il successore del sovrintendente Russoli, Carlo Bertelli, portò avanti l’idea che il palazzo divenisse la sezione moderna della Pinacoteca; ma i lavori non si conclusero. Dal 1989, fino al 2001, un nuovo intervento fu affidato all’inglese James Stirling e seguaci commissionato dagli «Amici di Brera» e finanziato dalla Fondazione San Paolo: realizzò i piani sotterranei, due stanzoni (e depositi) retti da un grande pilastro a fungo, un po’ organico e un po’ brutalista, comme on dit. Stoppato anche questo intervento, dal 2005 furono varati altri due progetti Grande Brera: il primo di Alberico Barbiano di Belgiojoso, il secondo di Mario Bellini, vincitore di concorso.
Intanto, il ministero avviò una gara per rendere agibile il solo Palazzo Citterio. Il 29 novembre 2013 una commissione presieduta da Margherita Guccione (Maxxi) aggiudicò i lavori a un consorzio con progettista Amerigo Restucci, rettore dell’università Iuav di Venezia. Il progetto architettonico non aveva ottenuto il maggior punteggio, ma la gara per offerta al ribasso lo vide primeggiare.
Nel 2014 iniziarono i lavori su progetto preliminare redatto dagli architetti Alberto Artioli e Annamaria Terafina della Soprintendenza di Milano, che confermò la destinazione museale per collezioni del Novecento, esposizioni temporanee, sale conferenze, bookshop, caffetteria e un giardino con sculture da congiungere con l’orto botanico di Brera.
Negli ultimi mesi, sopraggiungendo la conclusione dei lavori, sono circolate anche valutazioni critiche sull’intervento condotto. Tra gli aspetti più convincenti dell’intervento figurano il recupero di ampi e luminosi spazi, un restauro conservativo condotto con scrupoloso rispetto delle stratificazioni anche meno nobili — come il mantenimento del bagno della famiglia Citterio che diventa parte del percorso museale —, un giardino piacevole con collinetta e grotta recuperata da Attilio Stocchi e il «muro alla lombarda» con sculture di Mimmo Paladino (finanziato dal vicino di casa Bulgari): andranno aggiunte delle panchine, senza fare gli snob. Questo giardino andrà collegato con l’orto botanico abbattendo il muro, e ciò rende abbastanza inutile la passerella aerea di collegamento presentata, l’anno scorso, da Bradburne. Peccato per la stuccatura dei sassi nel cortiletto d’ingresso che risulta di un colore diverso dalla pavimentazione per imperizia (ma in un paio d’anni non si vedrà la differenza).
Gli aspetti discutibili riguardano i nuovi inserimenti architettonici; ma alcuni sono perfezionabili. Il muro in cemento armato che emerge sul cortile d’ingresso e il visitatore si trova davanti andava realizzato in vetro per non interrompere la vista delle colonne. Poiché è in cemento armato o lo si cambia oppure si affidi il rivestimento della testata a un artista. L’impiantistica (serramenti, luci, fan coil) è efficiente, ma poteva essere di qualità più raffinata (fondi permettendo). Le aperture dal montacarichi alle sale espositive potranno essere più ampie se si rimuovono alcuni muri non portanti. Il punto più problematico resta il vano scala-ascensori. La scala realizzata taglia i piani per raggiungere, ad altezza corretta, i mezzanini e per rispondere alle «dannate» normative: ma con più attenzione forse si poteva evitare il taglio che si vede dalle finestre del cortile e costruire una struttura più leggera. Il fatto che i blocchi di scale vadano rastremandosi creando un effetto scenografico tipo Bernini è un po’ una gigionata.
In un anno Bradburne dovrebbe predisporre l’allestimento per far vivere il palazzo, basandolo anche «su soluzioni grafiche che ravvivino alcuni spazi». Dovrebbero esservi esposte Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo, la collezione Jesi, con Medardo Rosso, Boccioni, Severini, Morandi, Carrà, De Pisis, Sironi, Marino Marini, Picasso e Arturo Martini, e la collezione Vitali, che accosta oggetti tardoantichi a macchiaioli, Modigliani.