Il mistero del magnate «disperso» sul Cervino
Le nuvole nere che avvolgono il Cervino non inducono alla speranza. E neppure le parole delle persone sedute dietro un tavolo del Soccorso alpino di Zermatt, che invece sono qui solo per questo, recitare una parte, non spezzare un esile filo. «Abbiamo fatto tutto il possibile» dice allargando le braccia Romy Biner Hauser, la sindaca, mentre gli altri le rivolgono occhiate di rimprovero, quasi stesse bestemmiando. Il procuratore cantonale Dominic Lehner sembra smarrito, quasi si stesse chiedendo cosa ci fa in questa stanza spoglia. «Al momento non si può stabilire se siamo davanti a un reato o a un tragico incidente» afferma con aria non troppo convinta. Gli altri, i soccorritori, abbassano lo sguardo.
La montagna non guarda in faccia a nessuno, è scritto sul cartello che dà il benvenuto agli impianti di risalita del villaggio più esclusivo delle Alpi svizzere, una enclave piantata in mezzo a 38 vette che superano i 4.000 metri, dove dagli anni Sessanta non circolano più le auto. Saremo anche tutti uguali. Ma questa volta il Matterhorn, il nome del Cervino in tedesco, ha inghiottito un essere umano più uguale degli altri. Karl-erivan Haub è presidente e amministratore delegato del gruppo Tengelman. Sono nomi che non dicono molto. Ma sono quelli del novantesimo uomo più ricco del mondo secondo le stime di Forbes, il quarto di Germania, titolare di un gruppo specializzato nella grande distribuzione che rappresenta il 40% del mercato negli Usa e nella madre patria, amico personale di Angela Merkel.
La rassegnazione non è prevista in questa storia. La famiglia Haub l’ha esclusa per bocca del fratello cadetto Cristian, che ha assicurato «mezzi illimitati» per foraggiare le ricerche, contro il tempo e contro la logica. «Voi incrociate le dita» ha scritto in una lettera aperta ai dipendenti. «Ma noi lo troveremo a ogni costo». Il primogenito di Erivan Haub, l’uomo che ha cambiato le sorti di una piccola azienda partita nel 1867 da una drogheria di Wiesbaden che commerciava in spezie provenienti dalle colonie, era l’erede designato. Il padre è morto nello scorso marzo nel suo ranch in Wyoming, poco dopo aver festeggiato i 60 anni di matrimonio con la moglie Helga. Si erano trasferiti in America per sfuggire ai rigori del dopoguerra tedesco e da allora hanno sempre vissuto nello stato di Washington, diventando numi tutelari e benefattori della città di Tacoma. Nel 1980 aveva lasciato tutto ai figli, mantenendo la carica di presidente onorario.
Karl-herivan ha due bamnamento bini, Viktoria ed Erivan, che si chiama come il padre e il nonno perché fin dall’ottocento la dinastia prevede che almeno un maschio Haub porti questo nome. Ha 58 anni e una passione definita ossessiva per lo sci alpinismo. È arrivato a Zermatt venerdì pomeriggio. Sabato alle 8.30 ha passato il badge di ingresso alle piste del Piccolo Cervino. Le indagini hanno rivelato che è stato visto per l’ultima volta alle 9.20 nella piccola baita accanto agli impianti di risalita. Aveva raccontato di voler fare un paio d’ore di alle- su un ghiacciaio. Era senza guida, perché si stava preparando a una competizione celebre nel settore, la Patrouille des glaciers, dove avrebbe corso in coppia con un amico, senza accompagnatori. Indossava una giacca a vento leggera e aveva con sé un piccolo zaino. L’hotel dove alloggia ha dato l’allarme alle 16, quando non lo ha visto rientrare per la conference call con Germania e Stati Uniti che aveva prenotato alle 16.
I tre elicotteri parcheggiati nel cortile dietro il Soccorso Alpino del paesino svizzero si sono alzati in volo solo ieri mattina. Lo scorso weekend è stato uno degli ultimi della stagione. Migliaia di sci hanno cancellato ogni possibile traccia. L’artva, il segnale radio che gli sci alpinisti devono portare con sé, è ormai muto. Da domenica sera nevica in quota. Dicono che forse il sereno arriverà venerdì, ma venerdì sarà troppo tardi, anche per chi è obbligato dalle pressioni derivanti dal nome della persona scomparsa a fare professione di ottimismo. «I fondi illimitati non servono contro le condizioni meteo e il tempo che passa». Haub potrebbe essere andato verso il versante italiano come quello svizzero e così le ricerche sono toccate anche agli uomini di Adriano Favre, capo del Soccorso Alpino valdostano. «Abbiamo dovuto interromperle più volte per via delle tempeste; ci sono ghiacciai, accumuli di slavine. Capiamo il dramma della famiglia, ma non possiamo rischiare la vita dei nostri uomini». L’ottimismo di facciata e le ipotesi da romanzo giallo non appartengono all’indole degli uomini che in montagna ci lavorano. Adrian Truffer, omologo vallese di Favre, è netto: «Nessuno dovrebbe andare da solo sui ghiacciai. Ci sono crepacci che corrono lungo tutta la superficie e sono profondi da 10 a 500 metri. Haub teneva sempre nello zaino un cellulare spento. Se fosse in grado di farlo si sarebbe fatto vivo».
Le risorse illimitate e il nome illustre del disperso non cambiano la realtà. All’uscita la sindaca, il capo dei medici di Zermatt, i soccorritori svizzeri, si mettono a confabulare. Raccontano di Karl-herivan Haub, aneddoti su un uomo famoso che veniva qui da trent’anni. E quasi senza farci caso, ne parlano coniugando i verbi al passato.