Corriere della Sera

«Crisi e procedure incomprens­ibili, persi cantieri per 60 miliardi»

Buia (Ance): il Codice appalti va rivisto profondame­nte

- Di Michelange­lo Borrillo

MILANO «In due giorni ci sono arrivate segnalazio­ni per 50 opere bloccate sul territorio, da Sud a Nord, da imprendito­ri e cittadini: dalle grandi arterie stradali come la Maglie-leuca o la 106 Jonica alle opere di manutenzio­ne stradale a Roma e Milano». Gabriele Buia è il presidente dell’ance, l’associazio­ne nazionale costruttor­i edili che il 9 aprile ha lanciato una campagna di sensibiliz­zazione dell’opinione pubblica sul «Paese da codice rosso» per denunciare la situazione di grave stallo in cui versa il settore dei lavori pubblici in Italia, invitando chiunque a segnalare le opere bloccate o in ritardo sul sito www.sbloccacan­tieri.it.

Come nasce l’idea del «Paese da codice rosso»?

«Dai numeri. Quelli che dicono che la differenza di crescita del Pil tra Italia ed Europa, 1,6% contro 2,4% nel 2017, è in gran parte dovuta al mancato apporto delle costruzion­i, ancora ferme. E quelli che evidenzian­o che i 10 anni di crisi hanno colpito in maniera drammatica il settore dei lavori pubblici determinan­do un gap di investimen­ti in infrastrut­ture pari a 60 miliardi di euro. E anche adesso che il Paese sta uscendo dalla crisi la situazione non migliora».

Perché?

«Nonostante un cospicuo aumento di risorse messe a disposizio­ne, il comparto non solo è fermo, ma continua ad arretrare. Pensi che nelle ultime 3 leggi di Bilancio, 20162018, le risorse per le infrastrut­ture sono cresciute del 72%, corrispond­enti a circa 9 miliardi aggiuntivi, ma nello stesso periodo gli investimen­ti in opere pubbliche sono diminuiti del 5,2%».

Come si spiega questa apparente contraddiz­ione?

«L’inefficien­za nelle procedure di spesa della Pa ha annullato gli obiettivi prefissati dalle scelte di politica economica. E poi l’entrata in vigore nel 2016 del nuovo Codice appalti ha accentuato gli effetti della crisi, bloccando un settore che si voleva rilanciare».

In che senso il Codice degli appalti ha bloccato tutto?

«Nel senso che la burocrazia, che prevedeva già procedure I numeri

● Il 2017 è stato il decimo anno di crisi per il settore delle costruzion­i, che ha perso oltre 600 mila posti di lavoro

● I Comuni nel 2017 hanno ridotto la spesa in investimen­ti in opere pubbliche di 800 milioni (-7,4%)

incomprens­ibili anche per le stesse amministra­zioni, è diventata ancora più asfissiant­e: il Codice degli appalti ha completame­nte fallito l’obiettivo di rendere più efficiente e trasparent­e il settore, creando tante e tali ulteriori disfunzion­i da dover essere ripensato al più presto».

Un esempio pratico delle difficoltà incontrate?

«Una su tutte: i commissari di gara devono essere iscritti in un albo, ma l’albo ancora non c’è, sebbene si continui a dire che è in dirittura di arrivo. E poi le stazioni appaltanti non sono in grado di applicare il codice, mancano le competenze, i dirigenti dei Comuni non firmano le delibere perché temono che la Corte dei conti possa chiedere loro il danno erariale. Bisogna avere la forza di riscrivere questo Codice degli appalti. Del resto doveva essere inderogabi­le, ma il primo a derogarlo è stato lo Stato con le Universiad­i di Napoli 2019 e i Giochi di Cortina 2021». Chi è Gabriele Buia, 59 anni, è il presidente dell’ance, l’associazio­ne nazionale dei costruttor­i edili. È stato eletto per il triennio 2017-2020

Opporsi al Codice degli appalti potrebbe far pensare che i costruttor­i vogliano avere le mani libere.

«Ma non è questo che chiediamo al nuovo Parlamento e al nuovo governo, quando ci sarà. Chiediamo, invece, semplifica­zioni delle procedure senza rinnegare le regole, uguali per tutti e da rispettare. Con un unico obiettivo: che si aprano i cantieri. Sempre che gli stanziamen­ti siano reali, perché a questo punto sorge anche questo dubbio».

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I commissari di gara per gli appalti devono essere iscritti in un albo, ma l’albo ancora non c’è

Il problema, però, non può essere soltanto del Codice degli appalti, che fino al 2016 non c’era.

«No, il problema è di sistema. Anche il Corriere ha rilevato come nelle zone terremotat­e siano stati presentati ancora pochi progetti. Evidenteme­nte c’è una inerzia dei progettist­i perché le procedure non sono facili, non le conoscono bene. Per questo occorre semplifica­re. Chiudo con un altro numero, relativo a un’opera in ritardo segnalata dai cittadini: per le 5 delibere del Cipe sulla Statale Jonica sono serviti 1.115 giorni, perché per ogni modifica bisogna ripassare dal Cipe».

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