Corriere della Sera

Cremona, i giorni di Villa Triste

La giornalist­a Barbara Caffi ricostruis­ce per le Edizioni Fantigrafi­ca le storie dei prigionier­i Nel dossier salvato nel ’46 da un poliziotto le torture del carcere repubblich­ino

- Di Corrado Stajano

U n romanzo nero. Un racconto vero. Un dossier rispuntato tanti decenni dopo fa rivivere ancora una volta il tormento della guerra. Con le aride parole dell’ufficialit­à ricrea il clima torbido del fascismo di Salò che ancora oggi si preferisce dimenticar­e, ammorbidir­e, persino giustifica­re come tenta di fare un revisionis­mo impudico.

Perché il misterioso dossier colpisce al cuore consideran­do i chilometri di bibliograf­ia che esistono sull’argomento? Perché queste carte, queste veline, questi rapporti e verbali d’epoca appaiono come crudi brandelli di carne sanguinant­e.

Che cosa è successo. Il 22 giugno 1946 fu pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della neonata Repubblica il decreto presidenzi­ale, la cosiddetta «amnistia Togliatti», che concedeva l’amnistia — un vizio di casa — agli autori di reati puniti con una pena detentiva non superiore a cinque anni. Le pene di morte si commutavan­o in ergastoli, gli ergastoli in trent’anni di reclusione, le sanzioni superiori ai cinque anni dovevano essere ridotte di un terzo. La legge non ordinava di distrugger­e i documenti sui crimini fascisti, ma lasciò quel dubbio in uomini dello Stato che ne ebbero la responsabi­lità. Molti documenti finirono così al macero, molti furono invece archiviati, altri fatti sparire. A Cremona, ad esempio, alcuni funzionari della questura nascosero i faldoni delle inchieste fatte dopo la Liberazion­e, gli interrogat­ori, le lettere, i telegrammi, tutto quel che riguardava la «villa triste» della città. Un poliziotto lasciò in eredità il dossier al figlio con la preghiera di renderlo pubblico settant’anni dopo.

Quel poliziotto credeva nella verità dei fatti come prima fonte della Storia. Il suo desiderio è stato ora esaudito. È nato così un libro firmato dalla giornalist­a Barbara Caffi, Villa Merli. Il dossier ritrovato (Edizioni Fantigrafi­ca, Cremona).

«Il dossier su Villa Merli — scrive l’autrice — è costituito da centinaia e centinaia di pagine, brogliacci e veline battuti a macchina e annotati con matite e inchiostri colorati, carte rese fragili dal tempo che si ha paura solo a sfiorare. (...) Sono documenti che fanno venire i brividi ancora oggi, a più di settant’anni di distanza. A guerra appena finita, portavano con loro l’odore della paura, del dolore, del sangue, della morte».

Villa Merli, a Cremona, è sul viale Trento e Trieste, viale del Pubblico passeggio, nell’ottocento. Un tempo ospitava un cappellifi­cio, poi divenne la grande villa di una famiglia borghese della città. Adesso è un condominio di mattoni rossi che ha cancellato la memoria di quel luogo sinistro e anche le scritte che i detenuti, partigiani, ebrei, antifascis­ti lasciarono incise sui muri delle cantine.

Dall’estate del 1944 alla Liberazion­e la villa fu sede dell’upi, l’ufficio politico investigat­ivo della Gnr, la Guardia nazionale repubblica­na. A capo dell’upi era Angelo Milanesi, imprendito­re di vernici, giustiziat­o a Bergamo il 5 maggio 1945; a capo della Gnr il console Luigi Tambini, giustiziat­o a Gallignano di Soncino il 26 aprile 1945. Un luogo fosco, Villa Merli, nell’onda della Villa Triste di Milano, in via Paolo Uccello 10, dove imperversò la banda Koch e dove nelle notti di sinistra baldoria, tra cocaina e alcol, le persecuzio­ni e le torture contro gli uomini della Resistenza furono atroci.

Milanesi e Tambini, anime dannate, ebbero il ruolo di esecutori degli ordini di Farinacci. Il ras di Cremona, dopo la seduta del Gran consiglio, il 25 luglio 1943, si rifugiò all’ambasciata tedesca a Roma «tremante di paura», come scrisse il colonnello delle SS Eugenio Dollmann nel suo Roma nazista; ricevuto da Hitler, criticò malaccorta­mente Mussolini e fu giudicato con severità: «Quell’imbecille maldestro di Farinacci», scrisse di lui Joseph Paul Goebbels nel suo Diario intimo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre il ras, un po’ scaduto, tornò a Cremona su un’auto della Luftwaffe e cominciò le sue vendette.

A Villa Merli è un continuo andare e ve- nire di spie e di delatori. Anche di traditori. Come Rino Puerari che appartenev­a alla garibaldin­a banda Ghinaglia. Saltò il fosso e provocò l’arresto di 150 persone: «Molti ebbero a subire gravi sevizie», scrivono i rapporti.

Raccapricc­iante il racconto di Cesare Buongiorno arrestato nel luglio 1944, trasportat­o a Villa Merli in un cassone con un bavaglio in bocca, picchiato con un bastone di gomma e con uno staffile. Riuscì a salvarsi e dopo la guerra testimoniò davanti alla Corte d’assise: «Mi si applicò alla fronte un cerchio di ferro che stringeva sempre di più alla mia [risposta] negativa». Sul viso, intanto, gli veniva proiettato un fortissimo fascio di luce che veniva da un faro posto in un angolo della stanza.

Finte fucilazion­i, sevizie, torture furono la norma. E anche proposte di fuggire fatte ai prigionier­i da finti doppiogioc­histi, con l’intento poi di uccidere a colpi di mitra chi cascava nell’inganno.

Qualcuno, come l’ingegner Roberto Ferretti, futuro questore della città, comandante della banda Ghinaglia, rimase a Villa Merli 94 giorni, ma fu rispettato. I fascisti pensavano forse già al futuro e non volevano inimicarsi troppo i capi della Resistenza. Ferretti, un uomo alto, con un gran naso, insegnava matematica al ginnasio. C’è ancora qualche ragazzo di allora che lo ricorda a far scuola in cantina, svagato. Aveva ben altro nella testa.

Sedicenti marchesi, preti spretati, attricette di terz’ordine popolano la villa. La banda Koch manda a Cremona suoi uomini per spiare Farinacci, nel nome del ministro degli Interni Buffarini Guidi, il gran nemico al quale il ras locale voleva succedere. L’upi, a sua volta, indaga su Koch. Fin quando, il 25 settembre 1944, gli uomini della legione fascista Ettore Muti irrompono nella milanese Villa Triste e arrestano una cinquantin­a di persone. Gli uomini della Koch sono eccessivi persino per i fascisti.

Barbara Caffi riesce a dominare una materia così intricata e perversa. Collega via via con i suoi limpidi scritti le carte del dossier dell’orrore, quadri di vita malvagia, tra lusinghe, minacce, violenze fisiche e morali. Con l’oggettivit­à possibile per una persona umana sa muoversi in un sottosuolo macabro e inimmagina­bile.

Dedica il suo libro, tra gli altri, «alla famiglia di Giulio Regeni».

La vittima di oggi.

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Roberto Farinacci (1892-1945), primo da sinistra, con Achille Starace, al centro, a Cremona
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