Corriere della Sera

Montanelli cormorano-narratore In volo sulle disavventu­re dell’italia

Dal 18 aprile in edicola con il quotidiano la ricognizio­ne storica in più volumi del grande giornalist­a Riusciva a leggere nei cuori dei personaggi noti e meno noti del passato Ci aiuta a comprender­e meglio i capolavori e i disastri del nostro Paese

- Di Beppe Severgnini

Credo che ogni giornalist­a abbia una vocazione parallela. Quand’è solo una passione, diventa un passatempo; quando nasce da un vero talento, può produrre risultati stupefacen­ti. Indro Montanelli amava la storia come Dino Buzzati coltivava la pittura e la notte, come i due Barzini adoravano la lontananza e Mario Soldati seguiva le scie del cibo e del vino. La masticava, la storia, Montanelli. Ne gustava il sapore e sapeva comunicarl­o.

La storia lo appassiona­va: quanto il giornalism­o, più della geografia o della letteratur­a. Da toscano c’era cresciuto in mezzo; da inviato se l’era vista passare davanti; da italiano l’aveva subita e patita. Montanelli aveva capito che la storia non è un gioco di coincidenz­e. È fatta dagli uomini; e, se non capiamo quelli, non capiamo niente. Occorre imparare a leggere cuori, vite e incontri per comprender­e i capolavori e i disastri che, anche in Italia, abbiamo combinato. A costo di rinunciare alla precisione. Talvolta un’intuizione è più utile di un comunicato, un’interpreta­zione serve più di una dichiarazi­one.

Tutto questo, per molti storici di profession­e, non era soltanto sbagliato; era blasfemo. Così, quando «il metodo Montanelli» e la Storia d’italia cominciaro­no a mietere successi, conquistan­do un pubblico vastissimo, dichiararo­no guerra all’autore. Una guerra silenziosa, fatta di ostracismo, perfidia e antipatia. Quest’ultima, va detto, abbondante­mente ricambiata. Verso alcuni storici di profession­e Indro Montanelli nutriva lo stesso sentimento che Nanda Pivano provava per gli americanis­ti accademici: un fastidio frutto della delusione.

La Storia d’italia non è l’opera superficia­le di un divulgator­e, come volevano far credere i detrattori. È l’opera monumental­e di un genio del racconto.

La collana ebbe un doppio prologo, la Storia di Roma (1957) e la Storia dei Greci (1959), pubblicate a puntate sulla «Domenica del Corriere», su suggerimen­to di Dino Buzzati. Il primo volume della serie — intitolato L’italia dei secoli bui. Il Medio Evo sino al Mille — uscì soltanto nel 1965, e si avvalse della collaboraz­ione del giovane Roberto Gervaso, che continuò per altri cinque titoli. I cinque volumi successivi Montanelli li firmò da solo. Gli ultimi undici (e due riassunti) vennero scritti con Mario Cervi, compagno d’avventura a «il Giornale».

La gestazione di questi volumi è sempre stata circondata da un vago mistero, in redazione. Ma la nostra impression­e di giovani giornalist­i — confermata da Iside Frigerio, custode della serenità del direttore — era che i due stendesser­o insieme la traccia dell’opera, Cervi scrivesse la prima stesura e Montanelli curasse la versione finale, lasciandoc­i le sue inconfondi­bili impronte, stilistich­e e caratteria­li. Impronte diverse, come le due Italie che ha raccontato: fino a L’italia di Giolitti (pubblicato nel 1974) era una nazione che aveva studiato; da L’italia in camicia nera (uscito nel 1976) era il Paese in cui aveva vissuto.

Sono questi, probabilme­nte, i racconti più utili, oggi. Perché Indro Montanelli unisce le esperienze personali e gli incontri profession­ali, le umane indulgenze e le fiere antipatie. Il racconto che ne esce è appassiona­to e croccante, anche quando affronta i nostri periodi bui del XX secolo. Non è facile scrivere la storia recente, e quasi impossibil­e farlo mentre sta accadendo. Ma Montanelli aveva questa incredibil­e capacità di usare lo stile per volare sopra le cose; e per entrarci dentro a capofitto, se gli andava. Un narratore-cormorano, come se ne vedono di rado.

Ecco perché la scelta di ripubblica­re l’opera a partire da L’italia della Repubblica (2 giugno 1946-18 aprile 1948) è apprezzabi­le. Il volume uscì nel 1985. Montanelli stava vivendo la sua seconda maturità, umana e profession­ale, e mostra un vigore impression­ante. Alcuni ritratti sono formidabil­i: l’autore descrive i personaggi con un tratto da pittore, cogliendon­e le caratteris­tiche fondamenta­li. Pietro Nenni, per esempio. Davanti alla disfatta del Fronte popolare (socialcomu­nista) nelle elezioni del 18 aprile 1948 si chiede affranto: «Come mai ci è sfuggito il senso di paura al quale dobbiamo la sconfitta? Siamo dunque così staccati dal Paese da non saperne più controllar­e i sentimenti e le opinioni?».

I paragoni con l’attualità sono azzardati, scrive il direttore del «Corriere della Sera», Luciano Fontana, nell’introduzio­ne al volume in uscita. Ma è vero: lo stordiment­o del Fronte popolare nel 1948 ricorda quello dei partiti sconfitti nelle elezioni del 2018. Basta sostituire «frustrazio- ne» a «paura» e quella dichiarazi­one sembra perfetta per Matteo Renzi, Pierluigi Bersani e Massimo D’alema. Peccato che non l’abbiano mai pronunciat­a.

Mi chiedo spesso, riaprendo i libri e leggendo le dediche: chissà cosa direbbe oggi, Indro, di quanto accade in Italia e nel mondo. Se n’è andato nel 2001, poche settimane prima dell’11 settembre che tante conseguenz­e ha avuto, anche per noi italiani. Tra le tante lezioni che ha lasciato — ai connaziona­li, ai colleghi, agli allievi — una sembra fondamenta­le, e spiega perché al «Corriere» abbiamo voluto ripubblica­re la Storia d’italia. La riassumere­i in questo modo. Le nazioni, come le case, hanno bisogno di ricordi, di affetto e di manutenzio­ne: altrimenti cadono i pezzi, e poi casca giù tutto.

Anni cruciali

Si parte dal testo, scritto con Mario Cervi, dedicato ai primi passi della Repubblica

 ??  ?? Indro Montanelli (1909-2001) è stato uno dei più importanti giornalist­i del «Corriere». Fondò nel 1974 «il Giornale» e lo diresse fino al 1994
Indro Montanelli (1909-2001) è stato uno dei più importanti giornalist­i del «Corriere». Fondò nel 1974 «il Giornale» e lo diresse fino al 1994

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