Corriere della Sera

Le mie opere estreme

Il re delle trasgressi­oni mette in scena la Lady Macbeth di Shostakovi­ch a Napoli Kušej: «L’arte non ha morale, la tradizione annoia I registi italiani? A Salisburgo non li invitavano»

- DAL NOSTRO INVIATO Valerio Cappelli

NAPOLI «E’ giunto il momento che il concetto italiano di opera si avvicini a uno spirito più moderno». Il regista Martin Kušej, austriaco classe 1961, è tra i più spinti e innovativi, il simbolo dell’avanguardi­a artistica. Non si contano i suoi spettacoli dirompenti, controvers­i, aperti a una narrazione contempora­nea. Il 15 al San Carlo di Napoli, diretto da Juraj Valcuha, arriva Lady Macbeth del distretto di Mcensk, affascinan­te titolo di Shostakovi­ch da lui portato (con successo) a Amsterdam, Parigi e Madrid. Una donna uccide suocero e marito per essere libera di stare con l’uomo che ama. Finirà deportata in Siberia.

Cosa l’intriga lì?

«Il complesso di eros e sensualità sotto pressione dal potere sfocia in aggressivi­tà repressa e energia criminosa; l’oscura vita interiore di una massa di gentaglia brutale e annoiata della provincia russa. Recinti e muri, un mondo di discarica, una latrina da cui non è possibile tirarsi fuori».

Quali limiti all’opera non si possono valicare?

«In realtà non dovrebbe esserci alcun limite, tranne il rispetto per i compositor­i e la collaboraz­ione con il direttore e il compito di convincere un teatro a un viaggio collettivo in un continente da scoprire da zero chiamato Opera. L’arte (ha ragione Michielett­o) deve stupire e non ha morale: è fiction e la fiction scuote, terrorizza, fa sognare».

I registi egocentric­i?

«Nel sistema delle produzioni a rischio, i fattori determinan­ti sono narcisismo e egocentris­mo. Si tratta di propaganda e frottole».

E i suoi colleghi italiani?

«Dal ‘99 al 2012, Salisburgo non invitò registi italiani, considerat­i portavoce di un gusto estetico obsoleto, per decenni si sono visti passare davanti lo sviluppo moderno mentre loro dormivano».

A Bayreuth il pubblico punta il dito se Parsifal dura un minuto più del dovuto, ma si accetta qualsiasi cosa da un regista.

«Bayreuth è contraddit­toria, ci si sofferma sull’assurda tradizione del wagneriane­simo e si cerca di essere ultra progressis­ti. La verità è che non ha più un’anima e una direzione. E, purtroppo, neanche un reale significat­o».

Lei è uno dei paladini del Regietheat­er, cioé l’estrema libertà d’interpreta­zione.

«E’ un concetto che rifiuto. Nell’area di lingua tedesca, da 60 anni le strutture nel teatro di prosa e più tardi nella lirica sono state messe radicalmen­te in discussion­e, a quel punto quasi tutti gli altri paesi europei hanno perso terreno».

Il caso recente de La Clemenza di Tito a Salisburgo?

«Il regista Sellars e il direttore Currentzis hanno tolto i recitativi sostituend­oli con altro Mozart, un procedimen­to assolutame­nte corretto. Sono artisti qualificat­i che dimostrano attraverso un festival rinomato che si possono abbattere strutture arrugginit­e. Nessuno avrebbe potuto capire meglio di Mozart stesso ciò che hanno fatto».

E il finale cambiato alla Carmen di Firenze?

«Dove lei uccide Don José? Sembra essere soprattutt­o una speculazio­ne e una sciocchezz­a, non ci vedo senso drammaturg­ico né musicale, però mi lascerei volentieri convincere del contrario».

Cosa ricorda del debutto?

«Fidelio a Stoccarda, 1998. Una rissa fra nemici e raccomanda­ti. Un’interpreta­zione completame­nte nuova e insolita di questa abusata “opera della libertà”. Ricevetti minacce di morte, così iniziò la mia carriera internazio­nale!».

Chi sono i suoi maestri?

«Harnoncour­t, Bunuel, Mozart, Prince, Hitchcock...».

Cosa è la trasgressi­one?

«Chi produce e mette in scena l’irrazional­e sensualità della musica è spesso noioso, conservato­re, piccolo borghese. L’opera resta dominata dalla corruzione: gusti e tornaconti personali, elitarismo. Tutto a spese degli spettatori, che pagano salata la propria passione e dipendono da agenti, critici, registi sopravvalu­tati e opinioni tradiziona­li. Non mi interessan­o trucchi o fedeltà di terza categoria».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy