Schubert, Luisi e la meraviglia dei sei Lieder
L’orchestra della Scala ha appena ricevuto un serio riconoscimento delle sue qualità operistiche (International Opera Awards 2018) ma anche sul fronte squisitamente sinfonico dà una prova molto lusinghiera. Avviene quando, per la stagione della Filarmonica, affronta con Fabio Luisi due pagine suggestive ma rognose come la Passacaglia op.1 di Webern e il Poema Pelleas und Melisande di Schönberg, che oltre a un grado acceso e stralunato di lirismo richiedono equilibri fonici complessi, alternanza mai banale di masse sinfoniche e cameristici vuoti e un’articolata geografia polifonica di temi primari e secondari, con le dinamiche interne che ne derivano. Luisi, direttore dal formidabile curriculum, dimostra la veemente crescita di questi anni facendo sembrare tutto ciò una cosa semplice, logica, naturale. Vi aggiunge poi di suo uno slancio rapinoso, che trascina anche l’ascoltatore più refrattario al linguaggio dei viennesi di primo Novecento.
Cuore del superbo programma disegnato per l’occasione sono però sei Lieder di Schubert (sette con il bis) orchestrati da altri compositori (Brahms, Reger e altri) e interpretati da Luca Pisaroni, basso baritono noto come cantante d’opera mozartiano. È musica meravigliosa, che vorresti non finisse mai. Perché quando la vocalità liederistica, così intima, colloquiale, attenta alla minima sfumatura di significato, incontra un’orchestra che sa essere viva anche quando si limita a sostenere la linea di canto, si percepisce la traccia di un bello che basta a se stesso. Cioè del vero bello.