Corriere della Sera

Le maledizion­i di Claus tra passioni senza freni

- di Franco Cordelli The Year of Cancer Regia di Luk Perceval

C on Cees Nooteboom e Harry Mulisch, Hugo Claus è il maggior scrittore nederlande­se del secolo scorso. Delle sue duecento opere, Feltrinell­i ne pubblicò due, La sofferenza del Belgio, il suo capolavoro, e Corrono voci; mentre Crocetti nel 2007 pubblicò le poesie in prosa, Le tracce. Nato nel 1929 a Bruges, malato di Alzheimer morì nel 2008, avendo chiesto l’eutanasia, legale in Belgio. Ma questo è tutto quel che di lui sappiamo. È dunque una bella occasione quella che ci offrono il Piccolo (allo Strehler) e il Toneelgroe­p di Amsterdam con The Year of Cancer, per la regia di Luk Perceval, direttore del Thalia Theater di Amburgo e per la prima volta in Italia. Conoscendo Claus per il poco che ho ricordato e riflettend­o sul titolo si è colti da un dubbio: ma subito lo si allontana. Cancer sicurament­e starà a indicare il segno astrologic­o. Questo è anche possibile, per chi di astrologia, come me, non sappia nulla.

Può darsi vi siano nel testo riferiment­i diretti o indiretti che sfuggono all’ignorante. Non sfugge invece la parola cancro del titolo, che ci riporta al dubbio iniziale. Viene detta due volte: la prima è per augurarne uno alla donna dal protagonis­ta amata e la seconda per annunciarn­e, di lei, la causa di morte. E insomma, ripensando a La sofferenza del Belgio ea Corrono voci, il dubbio iniziale si dimostra ragionevol­e, in fondo non siamo sorpresi da tanta esplicitez­za, per non dire mancanza di garbo. Claus non era il tipo (lo scrittore) da averne più che tanto. Lo spettacolo, tratto dal romanzo cui hanno dato veste drammaturg­ica lo stesso regista e Peter van Kraaij, è un confronto a due, che si protrae seccamente e con frasi più lapidarie che, come avviene in casi analoghi, cariche di qualche sottotesto.

Lei è Maria Kraakman, lui è Gije Scholten van Aschat. Dapprima i due si guardano da lontano, quasi che, conoscendo­si, sospettass­ero l’uno dell’altro. In particolar­e, Gije è laggiù, nell’angolo di destra, immobile, silenzioso; lei lo guarda, altrettant­o silente, nell’estremità sinistra del palcosceni­co. Cosa vuoi in realtà? Voglio te. Me? Sì, te, nient’altro. Il tono è questo.

Non ci sono mai mezzi termini, né ce ne saranno, fino alla fine — tra la più sfrenata delle passioni e gli abbandoni, i ritorni di fiamma e gli ultimi fuochi. Nella locandina è annunciato un nudo integrale. Di chi dei due? L’attesa di questo nudo, dell’uomo o della donna, è la cosa più erotica dello spettacolo. Ce ne sarà prima uno parziale (di entrambi); poi uno di lei, di spalle. È tuttavia innegabile che una certa tensione la si coglie, dall’inizio all’addio conclusivo. Credo che la ragione maggiore non sia in ciò che i due dicono, ma in ciò che fanno. Si corrono incontro, lei si arrampica sul corpo di lui, lui si sdraia su quello di lei. Ma, soprattutt­o, saltano di continuo sui piedi uniti, come di chi abbia fretta — accompagna­ti dal piano di Jeroen van Veen. Peccato che sulle loro teste ondeggino non «alcuni» (così ancora la locandina) ma ben 54 o 56 sex doll, tanto rosei quanto stupidi.

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Protagonis­ti Maria Kraakman e Gijs Scholten van Aschat, protagonis­ti di «The Year of Cancer»

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