«Tutta la verità» e i casi giudiziari: i processi non finiscono mai
R osa e Olindo, la strage di Erba, il brutale eccidio che ha sconvolto il comune lombardo nel dicembre del 2006, le condanne definitive all’ergastolo. Eppure, ancora oggi, il delitto di Erba, come altri delitti famosi, si porta dietro un affaticamento spettacolare, un andirivieni dalla realtà al reality, e viceversa, fatto di «vite in diretta», di cronaca nera trasformata in fiction, di racconti artefatti su realtà spaventosamente autentiche.
In Tutta la verità, si ricostruiscono casi giudiziari molto importanti e il primo è stato proprio quello che è passato alla cronaca come «la strage di Erba» (Nove, martedì, ore 21, 15). Il programma ripercorre le fasi della vicenda e le analizza, con il contributo di alcune testimonianze dei conoscenti della coppia, del racconto del maresciallo Comandante della Stazione dei Carabinieri di Erba incaricato delle indagini e delle immagini originali relative al caso.
Da quando i casi giudiziari sono diventati un filone televisivo, i processi non finiscono mai. Ormai esistono udienze senza fine, che debordano dalle aule del tribunale e finiscono nelle spire dei media assumendone le modalità espressive. Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati ormai in via definitiva, sono colpevoli? Per trasformare in evento mediale ogni processo, la tv vive sulle incertezze e sulle zone grigie di ogni dibattimento, confonde volutamente i suoi tempi con quelli del rito processuale, nei talk schiera sempre due fazioni, colpevolisti e innocentisti, con frequenti spostamenti di campo, dà sempre l’impressione di essere assetata più di morbosità che di giustizia.
Nel caso di Tutta la verità, gli autori hanno sposato la tesi dei difensori e di qualche cronista, cercando di entrare nelle inevitabili crepe delle indagini. Due ore di programma, però, sono troppe, le ripetizioni finiscono per togliere mordente al racconto.