L’ora dei muri e una debolezza trasversale
Se ci si ferma alle dichiarazioni ufficiali, verrebbe da dire che si è oltre lo stallo: ieri, al Quirinale, dopo il secondo giro di consultazioni, si è alzato un muro tra centrodestra e Movimento Cinque Stelle. Ma non è chiaro se sia un muro di cemento o di fumo.
Anche perché l’apparente armonia era contraddetta fisicamente dall’ampiezza della delegazione che si è presentata da Sergio Mattarella. E ha rischiato di essere sgualcita sia nella preparazione del comunicato finale, sia da alcune frasi estemporanee del fondatore di Forza Italia. La consegna formale della leadership a Matteo Salvini da parte di Berlusconi farebbe pensare che la condizione per riconoscerla sia una trattativa per conto di Lega, Forza Italia e Fratelli d’italia, «unitariamente»; e un avvertimento a Luigi Di Maio a non insistere con i veti contro Berlusconi. D’altronde, mostrare un simulacro di compattezza è anche l’unico modo per rivendicare Palazzo Chigi, opponendo il 37 per cento della coalizione al 32 dei Cinque Stelle.
Ma il tono col quale il capo di FI ha presentato alla fine del colloquio con il presiden-
te della Repubblica «il nostro leader» è apparso figlio di diffidenze non smaltite. E la scelta di accompagnare platealmente la lettura del comunicato da parte di Salvini come se ne fosse il vero regista, ha confermato la sofferenza di chi concede ma non cede davvero la leadership al suo alleato: nonostante abbia preso più voti di FI. La stessa assicurazione di voler stringere i tempi, sovrastati dalla crisi in Siria, a prima vista è una vittoria berlusconiana: un modo per disinnescare le elezioni di fine mese in Friuli e l’ipoteca di un’altra vittoria leghista.
Rimane però da capire quanto l’unità ostentata del centrodestra resisterà. La durezza della reazione di Luigi Di Maio rende astratto qualunque compromesso. E tende a mettere alle corde soprattutto Salvini, al quale il candidato premier del M5S attribuisce un comportamento poco comprensibile e chiede risposte chiare. Di Maio sa che tra il capo leghista e Berlusconi rimane una divergenza di fondo sugli interlocutori: il primo guarda ai Cinque Stelle, il Cavaliere al Pd. Con queste rigidità contrapposte, l’asse di fatto tra Di Maio e Salvini entra in tensione. Per saldarsi avrebbe bisogno di tempo, e chi lo avversa lo ha capito. E la crisi in Siria offre un’ottima ragione per accelerare.
Eppure, il risultato è di restituire un sistema spaccato e bloccato; obbligato a trovare una soluzione, perché tornare alle urne in tempi brevi sarebbe un rischio per l’italia, tanto più senza cambiare la legge elettorale; ma, a questo punto, sovrastato dall’eventualità di dare vita a un esecutivo debole e provvisorio. Per questo, l’esito delle consultazioni di ieri costringerà comunque il presidente della Repubblica a prendersi un altro po’ di tempo: per quanto breve, e condizionato dall’evoluzione della questione siriana.
Ma non si può ignorare lo scarto tra l’immagine offerta ieri dal centrodestra al Quirinale, con una delegazione di nove persone tra leader e capigruppo; e l’alleanza M5slega nella scelta dei vertici delle Camere e di alcune commissioni-chiave parlamentari. Ritenere che la frenata imposta ieri da Berlusconi alla marcia di avvicinamento tra i due cosiddetti «vincitori» del 4 marzo sia decisiva, andrà verificato. Se lo fosse, c’è da scommettere che potrebbe aprirsi una fase diversa e turbolenta anche nel Movimento 5 Stelle, che su Di Maio a Palazzo Chigi ha puntato molto.
La chiosa che ieri Berlusconi si è voluto riservare, additando «chi non conosce l’abc della democrazia», mira a bruciare i ponti coi Cinque Stelle. Ma la «battutaccia», come l’ha definita Di Maio, è diventata a doppio taglio. La Lega se n’è dissociata, perché la «sinergia istituzionale» col M5S rimane, ricorda il leader grillino. Non solo. Il tentativo berlusconiano punta a rendere impossibile un equilibrio ostile, ma non è in grado di costruirne uno alternativo. Così, alla fine emerge soprattutto una debolezza trasversale: compresa quella di chi ha ricevuto un mandato popolare esaltante, eppure minoritario. E non sa bene se e come riuscirà a farlo fruttare.
Gli scenari L’obbligo di trovare una soluzione per non dover tornare presto alle urne
Il nodo del tempo L’asse di fatto tra i leader di Lega e M5S avrebbe bisogno di tempo per saldarsi