Al vertice di coalizione la postilla sui 5 Stelle fa litigare gli alleati
A fronte dell’accelerazione impressa da Mattarella per risolvere rapidamente il rebus del governo, Salvini aveva spiegato a nome di tutta la coalizione che «noi siamo pronti», fornendo al capo dello Stato l’indicazione di un esponente della Lega per Palazzo Chigi e chiedendogli — fatto irrituale — di esercitare la sua moral suasion per convincere i Cinquestelle a far cadere i loro veti. È stato allora che la delegazione del centrodestra si è sentita porre la domanda: «Accettereste se affidassi l’incarico all’esponente di un altro partito della vostra coalizione?». Raccontano che nomi non ne siano stati fatti, ma se è vero che la presidente del Senato è stata eletta anche grazie ai voti dei grillini, l’identikit della Casellati è parso — come avrebbe poi detto Giorgetti — l’ideale per «smuovere le acque» e incanalarle verso un accordo con M5S.
A increspare quelle acque ci ha pensato però Berlusconi, con il suo affondo contro il Movimento «che non conosce l’abc della democrazia». E la battuta ha evidenziato ciò che era già evidente: Lega e Forza Italia hanno obiettivi diversi. Salvini spinge verso Di Maio, mentre il Cavaliere ha in animo di agganciare Renzi. Sebbene da Arcore si faccia sapere che il vertice tenuto prima di salire al Colle è filato via tranquillo, è stata proprio la discussione sul testo preparato dal leader di Forza Italia, e letto dal segretario della Lega dopo il colloquio con Mattarella, a far emergere le differenze. Salvini ha infatti preteso che nell’appello rivolto agli altri partiti per formare il governo venisse aggiunta una postilla: «Bisogna scrivere “primo fra tutti M5S”, perché io con il Pd non ci starò mai».
Così sono emersi i soliti sospetti: le voci di un incontro segreto che si sarebbe tenuto l’altra notte tra il capo del Carroccio e Di Maio, hanno fatto il paio con l’indiscrezione di un pranzo riservato tra Confalonieri e il ministro dem Lotti. Le due linee d’azione sono destinate a non incrociarsi: da un lato Salvini, che confida in un ammorbidimento dei grillini, «se magari Berlusconi affidasse la guida di Forza Italia a qualcun altro»; dall’altra il Cavaliere, che a mollare (per ora) non ci pensa e avvisa i fedelissimi come «di qui in avanti sarà una partita da affrontare giorno dopo giorno». Perciò, in attesa di un segnale dal Pd, ieri ha delegato alle capigruppo azzurre il compito di attaccare M5S alla vigilia dell’appuntamento con gli alleati. «In questo modo consegni ai grillini un assist», gli ha detto La Russa. «In questo modo punta a rompere», ha commentato Salvini.
E allora ci ha pensato Giorgetti a prendere di petto la questione a Palazzo Grazioli: «Ammesso e non concesso, ci spiegate con quali numeri si potrebbe fare quello che avete in mente?». La domanda era rivolta a Berlusconi ma chiamava in causa Gianni Letta, che proprio su quei «numeri» sta lavorando. Il punto è che Forza Italia teme l’accerchiamento, teme — per dirla con Ghedini — che «alla fine i grillini chiedano persino di sceglierci i ministri». Una battuta dietro cui si cela l’ansia del «passo di lato» del Cavaliere, che equivarrebbe all’abdicazione del partito. Ma al di là della rissa tra alleati che la frase di Berlusconi ha scatenato, il nodo politico da sciogliere è se Di Maio accetterà di cedere sulla premiership: «Altrimenti — secondo Salvini — non si farà il governo».
Il resto appartiene alla dimensione mediatica della sfida nella coalizione, con l’atteggiamento tenuto dal Cavaliere al Quirinale mentre Salvini leggeva il comunicato: si era impegnato a non parlare e invece ha introdotto, chiosato e concluso l’appuntamento con la stampa. «Ho fatto il bravo presentatore», ha commentato dopo Berlusconi, che non accetta il ruolo di comprimario al cospetto di chi ha comunque definito «il nostro leader». Ma il nuovo leader insiste con Di Maio: «Sì sì, con quello ci parla lui».