Gli attacchi e le retromarce Il caos come unica bussola alla Casa Bianca di Donald
Un funzionario: «I tweet? Sono solo punti di partenza...»
WASHINGTON Mercoledì sera, 11 aprile: un giornata qualsiasi di caos ordinario nella Washington di Donald Trump. Nel giro di poche ore i parlamentari repubblicani si trovano prima a elogiare il presidente, anzi, lo «Statista» (finalmente), che ha deciso di punire Bashar al Assad; ma subito dopo a ipotizzare affannosamente una legge ombrello per proteggere il Super procuratore Robert Mueller che lo «Statista» di cui sopra vorrebbe licenziare, facendo precipitare il Paese in una crisi costituzionale senza precedenti. Alle 6.30 di ieri «The Donald» si alza con un’idea diversa sulla Siria: non si bombarda più, anzi forse solo un po’, vediamo...
Nel frattempo torna a dedicarsi alle indagini sulle sue questioni personali. L’inchiesta di Mueller è un aspirapolvere sempre più gonfio di qualsiasi cosa. Da ultimo ha inghiottito le carte sequestrate nell’ufficio e nella camera d’albergo di Michael Cohen, avvocato e custode trentennale dei segreti di Trump: i mercanteggiamenti con pornostar e modelle, le transazioni d’affari e, probabilmente, anche i veri conti finanziari del gruppo, tasse e debiti compresi.
E il presidente un giorno promette di mandare via tutti dal Dipartimento di Giustizia; un altro, ieri nello specifico, pare disposto a «collaborare» con il Super procuratore.
L’anno scorso, proprio di questi tempi, il Washington Post pubblicò una vignetta rimasta insuperata. Trump è appena tornato dal viaggio in Arabia Saudita: banchetti e danza delle spade. E adesso è seduto nello Studio Ovale, mentre agita la scimitarra-ricordo, rompendo tutto.
Difficile dire se Trump persegua consapevolmente «la strategia del caos» o se, semplicemente, non sappia fare altro che quello. Il risultato, comunque, non cambia. Qualche settimana fa un funzionario del Dipartimento di Stato raccontava al Corriere: «Tutta l’amministrazione comincia la giornata con i tweet del Presidente. Ma praticamente nessuno li considera degli ordini esecutivi. Piuttosto li vediamo come il punto da cui partire per arrivare alle scelte più importanti».
È lo schema che sta adottando il capo dello staff, il generale John Kelly. Si inizia da una sparata, da un’iperbole trumpiana e, piano piano, ragionando nel concreto si arriva a una soluzione più congrua con gli standard di governo. Probabilmente sta andando così anche sulla Siria: in 24 ore la Casa Bianca è passata «dai missili belli e intelligenti» a una cauta ricognizione delle opzioni militari.
Il problema è che i filtri si logorano con una rapidità impressionante. Trump, ormai si è capito, non sopporta la marcatura troppo stretta. «Lui vuole gestire, non essere gestito», ha sintetizzato con la Cnn Roger Stone, brillante lobbista conservatore, sodale da almeno trent’anni del costruttore newyorkese.
Ora è il momento del gabinetto di guerra, con l’ex ambasciatore Onu John Bolton consigliere per la sicurezza nazionale e Mike Pompeo in arrivo come segretario di Stato, che ieri si è presentato al Senato per l’audizione di conferma con queste parole: «La guerra è l’ultima risorsa». Secondo le prime indiscrezioni, Bolton sarebbe già entrato in collisione con Mattis. Ma vedremo: è solo l’esordio dell’ennesima rivoluzione. Tra i generali al potere resiste, per ora in modo gagliardo, solo il capo del Pentagono, James Mattis, mentre la posizione di Kelly vacilla. Persino i pupilli del presidente girano a vuoto. Nel pieno della crisi siriana, Trump ha spedito la figlia Ivanka, in teoria sua prima consigliera, e il marito Jared Kushner, «l’uomo giusto» per risolvere i conflitti mediorientali, in…perù. Terranno compagnia al vicepresidente Mike Pence, nell’inutile (visto che Trump non ci sarà) Vertice delle Americhe. Intanto il repubblicano Paul Ryan, Speaker della Camera, non correrà nelle elezioni del 2018. «Passerò più tempo con i miei figli» Ma ha 48 anni e molti tra i conservatori pensano a lui come «alternativa al caos», nelle presidenziali del 2020.
Consiglieri girevoli
È il momento di Bolton e Pompeo. Ivanka e il marito Jared Kushner sono stati spediti in Perù