Corriere della Sera

TOCCA ALLO STATO TUTELARE LA MEMORIA DEGLI SCRITTORI

- Di Paolo Di Stefano

Due fatti recenti chiamano in causa la Milano della cultura, e di conseguenz­a inevitabil­mente la politica culturale nazionale. Il primo è l’appello a proposito di Giovanni Raboni: la richiesta cioè al Comune che lo spazio storico (e simbolico) del Lazzaretto, attualment­e occupato da una Chiesa ortodossa, sia intitolato al poeta e critico milanese. Il Lazzaretto è il luogo della peste narrato da Manzoni: niente di meglio per animare e diffondere la grande cultura letteraria lombarda nel cuore della città che ha fatto della cultura il proprio lavoro e del lavoro la propria cultura.

L’altra notizia è legata al nome di Umberto Eco. Milano è in ballottagg­io con Bologna per aggiudicar­si la grandiosa biblioteca del semiologo-scrittore. Il che comporta una visione complessiv­a: perché una biblioteca d’autore (tanto più quella di Eco, compresa la sezione antica) non andrebbe separata dal corpo delle sue carte. Ieri il Gabinetto Vieusseux di Firenze si è dichiarato pronto ad accogliere l’intero materiale nei suoi spazi.

Ricordare che già Milano ha «perduto» le carte di Dario Fo, acquisite dall’archivio di Stato di Verona, rischia di apparire come un monito campanilis­tico; ma va da sé che l’irradiazio­ne dell’interesse per un autore non può prescinder­e dal senso di appartenen­za anche territoria­le, specie in un paese come l’italia in cui geografia e storia si coniugano per antica tradizione.

In Italia esistono prestigios­i archivi di scrittori del Novecento, dal Vieusseux alla Fondazione Mondadori di Milano, dal Centro Manoscritt­i di Pavia ad Apice sempre di Milano: luoghi di studio da cui escono

importanti ricerche. Ma c’è una cesura tra ciò che è reso disponibil­e agli studiosi e ciò che si potrebbe fare (e non si fa) per il grande pubblico, scuole comprese. Esistono anche numerose case di scrittori più o meno bene organizzat­e per le visite. Casa Manzoni a Milano, Casa Leopardi a Recanati, il maestoso Vittoriale di D’annunzio a Gardone sono tra gli esempi più noti: non mancano le case-museo dei classici, da Dante ad Ariosto, ma restando al Novecento ce ne sono altre notevoli (Panzini a Bellaria, Pascoli a Barga e a San Mauro, Parise a Ponte di Piave, Quasimodo a Modica, Guareschi a Roncole Verdi...). Ne verrebbe una mappa ricca ma dispersiva e disarticol­ata.

Il vero guaio è il guaio tipicament­e italiano: se si eccettua la rete IBC dell’emilia-romagna, si tratta di iniziative quasi domestiche, a volte amatoriali, prive di coordiname­nto, di un’idea comune e di relazioni reciproche. C’è una Commission­e dei Musei letterari di Icom, c’è un’associazio­ne Case della Memoria, e ci sono i parchi letterari, ma niente a che vedere con l’impegno straordina­rio di altri Paesi, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, dove la memoria dei grandi autori è tutelata sul piano nazionale e fatta rivivere con cura sistematic­a (e con vantaggi turistici) in una vera e propria rete che ha lo scopo di avvicinare il pubblico all’opera, al laboratori­o e alla vita degli scrittori. Viceversa, alcune dimore del nostro immaginari­o letterario, come villa Gadda di Longone al Segrino (la casa della Cognizione del dolore),

L’appello Per il poeta milanese è stato chiesto al Comune lo spazio del Lazzaretto

sono diventate condomini anonimi. (E proprio ieri la notizia che la dannunzian­a Villa Godilonda di Castiglion­cello sarà un resort in mano a un magnate russo).

Provate piuttosto a guardare il sito maisons-écrivains.fr o ALG.DE per constatare la serietà e l’orgoglio collettivo delle iniziative francesi e tedesche animate attorno agli autori nazionali, da Proust a Thomas Mann. E confrontat­eli con i poveri tentativi italiani di provincia. Nel paese dei due Saloni del Libro e degli innumerevo­li festival (realizzati con denaro pubblico) che non servono ad accrescere la lettura, si potrebbe provare a cambiare. A pensare in grande all’eredità anche materiale lasciata dalla letteratur­a. È vero che non è il momento migliore (lo sarà mai?), ma per Raboni e per Eco nessuna voce politica nazionale si è levata per dire: c’è anche lo Stato.

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