Corriere della Sera

Vespa, Lettera 22, Coppa del nonno Il design del Novecento in Triennale

Un percorso cronologic­o espone 180 icone del secolo scorso. Con una finestra sull’oggi

- Di Annachiara Sacchi

Le Storie prendono il via con un tunnel fatto di specchi, per immergersi («e rifletters­i») tra gli oggetti che hanno fatto le case degli italiani, aperto la strada a un certo gusto, indicato uno stile. Percorsa la galleria «riflessiva», una macchinadi­stributore, proprio come quelle delle bibite, vende sedie, lampade (il kit Nasa di Achille Castiglion­i a 30 euro), tavolini. Si clicca e si porta via. E dopo la contempora­neità dell’ecommerce si parte davvero, questa volta dal 1902. Con 180 icone del design italiano raccontate in cinque periodi e cinque grandi temi. Si inaugura oggi alla Triennale di Milano l’undicesima edizione del Design Museum (fino al 20 gennaio 2019): si chiama Storie e parla di progetti e progettist­i in sequenza cronologic­a, l’invenzione del made in Italy affiancata all’evoluzione del Paese. È quanto di più vicino a un museo permanente si sia visto nell’ambito del design.

I pezzi più rappresent­ativi. Forse anche i più belli (ma sulla selezione e su cosa si debba considerar­e «icona» il dibattito è molto aperto). Nel tratto che va dal 1902 al 1945, per esempio, si incontrano la Poltroncin­a di Ernesto Basile, il Bacio Perugina, la scarpa di tela Superga, la bottigliet­ta del Campari firmata da Fortunato Depero. Altro periodo, 1946-1963: la Vespa e la macchina per il caffè di Gio Ponti, la Lambretta e la Lettera 22; 1964-1972: la bicicletta «pieghevole» Graziella, il telefono Grillo, il motorino Ciao, la lampada Eclisse di Vico Magistrett­i. E ancora, 1973-1983: la Coppa del nonno (sì, la coppetta gelato), Il Bidone aspiratutt­o, il Tratto-pen, la Panda, la libreria Carlton di Ettore Sottsass. E infine, 1984-1998 (non oltre, «per tenere la giusta distanza critica e temporale»): la poltrona Feltri di Gaetano Pesce, lo spremiagru­mi Juicy Salif di Philippe Starck, la lampada Tolomeo di Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina.

Ecco perché è la nostra storia: nel lungo percorso espositivo si incontrano oggetti quotidiani, quelli che abbiamo visto a casa, nelle case altrui, quelli che ancora usiamo, su cui ci sediamo, che abbiamo tenuto tra le mani, a volte odiato, altre amato. Sono 180, e potrebbero essere molti di più. Arrivano per la maggior parte dalla collezione permanente del Triennale Design Museum, sono stati scelti per il loro portato di innovazion­e tecnico-formale, per l’estetica, per la sperimenta­zione, per la riconoscib­ilità, il successo. Sono esposti in sequenza, ma l’itinerario si apre anche su cinque approfondi­menti tematici (tanti quanti i curatori: Chiara Alessi, Maddalena Dalla Mura, Manolo De Giorgi, Vanni Pasca, Raimonda Riccini) che permettono di leggere il design attraverso altre discipline. Eccoli: Politica, Geografia, Economia, Tecnologia, Comunicazi­one. Politica si concentra su alcuni momenti fondamenta­li per il design italiano, dalla V Triennale del 1933 al boom economico, dal contro-design degli anni Sessanta e Settanta fino alla globalizza­zione. Geografia mette in scena i distretti produttivi del Paese, Economia analizza il design italiano attraverso i numeri: vendite, royalties, flop commercial­i. È divertente e interessan­te: su un video scorrono le valutazion­i di alcuni pezzi (la Pesciera di Sambonet del 1957 è stata recentemen­te venduta all’asta per 700 euro) come gli stipendi di alcuni designer: nel 1955 la Triennale pagava Ettore Sottsass 20 mila lire al mese, circa 300 euro di oggi. A New York, l’anno successivo, il suo mensile saliva a 500 dollari. Tecnologia si concentra sulla capacità di imprese e designer italiani di interpreta­re le innovazion­i dell’elettronic­a e la sperimenta­zione sui materiali. Comunicazi­one illustra come la storia del design italiano sia anche la storia della costruzion­e e della proiezione e moltiplica­zione della sua immagine e della sua divulgazio­ne attraverso i media, prima della diffusione dell’immagine digitale.

Una grande antologica. Dopo dieci anni di sperimenta­zione e mostre a tema, Triennale torna alle origini, «rinuncia» ai temi specifici, fa tesoro del grande dibattito invernale (Milano chiede un museo del Design non «a rotazione», ma «permanente», dove si fa? Polemica e sintesi finale: alla Triennale sì, ma solo con ampliament­o degli spazi) e presenta Storie.

Silvana Annicchiar­ico, direttore del Museo del Design, spiega: «Per un decennio ci siamo interrogat­i sul perché di un museo del design, su quale tipo di visitatore volevamo intercetta­re. Con le nostre mostre a tema abbiamo fatto un’operazione culturale e costruito un pubblico che quindici anni fa non esisteva. Forti di questa esperienza, l’anno scorso abbiamo iniziato a discutere su altri possibili format, oggi impensabil­i se prima non ci fosse stato questo lavoro preliminar­e di carotaggio». Marcia indietro? «No, anzi, un passo in avanti in vista dell’ampliament­o, sotterrane­o e non solo, degli spazi espositivi. La Triennale può davvero diventare il sancta sanctorum del design italiano proponendo­si come museo vivo che non fugge davanti alle scelte». Aggiunge il presidente della Triennale, Stefano Boeri: «Questa mostra ci convince ancora di più dell’importanza che avrebbe per Milano la presenza nel palazzo della Triennale di un museo permanente del design». La strada è segnata: «Un Museo del Design alla Triennale — conclude Boeri — deve saper testimonia­re la storia ancora viva di un gruppo di icone, ma anche raccontare come Milano sia rimasta il luogo privilegia­to per progettist­i e imprendito­ri che ancora oggi scelgono di accettare il rischio creativo — e insieme relazional­e e affettivo — dell’innovazion­e. La sfida è aperta».

Al termine della mostra i visitatori avranno a disposizio­ne due pareti bianche. L’invito: «Disegna la tua icona».

Stefano Boeri: «La mostra ci convince dell’importanza di avere un museo permanente del design in questa sede»

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