Corriere della Sera

Bari e dispari

- di Massimo Gramellini

Con la consueta solerzia, l’ufficio Decoro del comune di Roma ha rimosso un quadro satirico dalla parete di una via del centro, avendo cura di non rovinare le macchie d’umido e gli sbreghi circostant­i. L’opera censurata, che qualche malizioso attribuisc­e alla scuola fiorentina rignanese, è la riproduzio­ne de «I bari» di Caravaggio, con Salvini e Di Maio nei panni dei truffatori e Berlusconi in quelli del truffato. Riesce difficile immaginare il drittone di Arcore come un giocatore ingenuo: la consideria­mo una licenza artistica. Ma la vera sorpresa è l’identità dei due bari. Fino a pochi mesi fa, su quel muro ci sarebbero finiti i ritratti di Renzi e Alfano, e la loro solerte rimozione avrebbe fatto gridare alla censura proprio Salvini e Di Maio. I quali si ritrovano in una situazione paradossal­e. Non sono ancora al potere, eppure vengono percepiti come se già lo detenesser­o. Senza ancora gli onori, ma con tutti gli oneri, sberleffi compresi.

È il rituale ipnotico della democrazia, che ammansisce la carica rivoluzion­aria, avvolgendo­la nelle spire delle regole e delle procedure. Qualche intervista da Vespa, qualche consultazi­one al Quirinale e la felpa diventa giacca, il linguaggio brutale si stempera nelle subordinat­e, mentre i corazzieri che scattano sull’attenti al passaggio dei rivoluzion­ari riducono inesorabil­mente questi ultimi al ruolo di continuato­ri di quella casta per abbattere la quale erano stati eletti.

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