Corriere della Sera

Mattarella stringe Di Maio e Salvini hanno pochi giorni

Il Quirinale: no alle urne, si farà un governo

- di Marzio Breda

No al voto anticipato, un governo si farà. Questa è la linea del Quirinale. Per questo Mattarella stringe i tempi. Di Maio e Salvini devono incontrars­i e trovare una soluzione in tempi brevi. Altrimenti sarà il Colle a cercare nuove strade per favorire la nascita di un esecutivo.

ROMA La parola chiave è «stallo». E Sergio Mattarella, al termine del secondo giro di consultazi­oni, non ha problemi a pronunciar­la. Quasi a rimprovera­re i partiti, o comunque per richiamarl­i alle loro responsabi­lità, il capo dello Stato dice di aver «fatto presente alle varie forze politiche la necessità per il nostro Paese di avere un governo nella pienezza delle sue funzioni», perché la situazione internazio­nale, le scadenze Ue, la crisi in Siria lo richiedono «con urgenza». Ma prende atto che il confronto tra le parti finora «non ha fatto progressi». Inutili i colloqui al Quirinale se nessuno si smuove di un millimetro dalle proprie posizioni, se persistono veti o indisponib­ilità a mettersi in gioco. E il richiamo è a continuare i contatti. Altrimenti, è la conclusion­e, dovrà essere lui a forzare la mano: «Attenderò alcuni giorni — avverte il capo dello Stato — trascorsi i quali valuterò in che modo procedere dallo stallo che si registra».

Il tempo insomma sta per scadere: Mattarella attende i possibili incontri previsti in settimana — a partire da quello che potrebbe avvenire domani a Verona durante il Vinitaly tra Salvini e Di Maio, anche se i rispettivi partiti per ora lo escludono — ma aspetta segnali chiari. Quelli che finora non sono arrivati, a partire dalla possibilit­à o meno di sciogliere i nodi nel rapporto proprio tra Salvini e Di Maio, che non sono solo quello della presenza di Berlusconi in un governo, ma anche (e forse soprattutt­o) di chi dovrebbe guidarlo.

Salvini continua a pretendere il mandato per un esponente del centrodest­ra, ma esclude soluzioni «al buio», come quella di un preincaric­o a Giorgetti — «No alla caccia al tesoro» — o a se stesso. Diverso sarebbe se «50 o 60 parlamenta­ri» firmassero «il programma del centrodest­ra», allora si potrebbe provare: «A mali estremi, estremi rimedi», ma la via maestra resta «quella di un governo tra centrodest­ra e M5S». Via che continua però a rimanere in salita, se Berlusconi ribadisce che non ha alcuna intenzione di farsi da parte e Alessandro Di Battista continua a sparare alzo zero nei suoi confronti accusandol­o di essere «finanziato­re acclarato di un’organizzaz­ione criminale che ha fatto saltare in aria Falcone e Borsellino».

Esiste un’altra strada? Allo stato persistono i no, ma resta l’ipotesi di un patto M5S-PD. O di un Pd che valuta il programma di centrodest­ra. Scenari improbabil­i, ma lo slittament­o dell’assemblea dem dal 21 a data da destinarsi fa pensare che non tutto sia già deciso, all’alba della Terza Repubblica.

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