TRA DI MAIO E SALVINI UN ROSARIO DI MALINTESI
I veti incrociati
Non si sbloccano i veti sul leader di Forza Italia Berlusconi e il centrodestra resiste alla pressione del Movimento
Sarebbe un errore ritenere che le parole dette ieri da Sergio Mattarella siano un’ammissione di impotenza del capo dello Stato. Piuttosto, fotografano l’inconcludenza dei partiti. E confermano la volontà del Quirinale di pungolarli a trovare una soluzione; oppure ad ammettere la loro incapacità di riuscirci, lasciando a quel punto che sia lui a indicare la via d’uscita. Ribadire che rimane «uno stallo» e darsi qualche giorno significa che i margini si stanno esaurendo; e si prepara un’«esplorazione».
Il monito è rivolto in primo luogo alle due forze cresciute alle elezioni del 4 marzo: M5S e Lega. Ma si estende a FI e FDI, e al Pd: sebbene i dem siano in un limbo che può portare a rinviare tutto, o a tentare di rientrare in gioco in extremis. Il vero discrimine attraversa il centrodestra, col suo 37 per cento dei voti; e la triangolazione M5SLEGA-FI. A oggi, appare una triangolazione impossibile, perché il veto di Luigi Di Maio contro Silvio Berlusconi non cade.
Il problema è che il leader del centrodestra Matteo Salvini non è disposto ad avallarlo. Magari il Carroccio ritiene Berlusconi un intralcio, e le sue frasi abrasive contro i Cinque Stelle un boomerang. Ma gli attacchi del M5S contro il Cavaliere sono sprezzanti. E Salvini non ritiene possibile una rottura con il fondatore di FI, che ribadisce: «Nessuno può dirmi che devo fare». Avvertimento che sembra rivolto non solo agli avversari.
La triangolazione impossibile, però, contiene anche il lato oscuro dei rapporti tra Di Maio e Salvini. Il loro dialogo continua, come la voglia di fare un governo insieme. Ma rimangono anche incomprensioni e malintesi. I Cinque Stelle sembrano stupiti: quasi non capissero se Salvini non vuole o non è in grado di ridimensionare Berlusconi.
E il capo leghista ritiene che Di Maio abbia tratto conclusioni premature sugli equilibri nel centrodestra. Si indovina un «non detto» tra M5S e Lega, che complica la trattativa. Sono improbabili sia voto anticipato, sia un «governo del presidente», come esito del nulla di fatto. Il Quirinale vorrebbe un esecutivo che rifletta il voto popolare. Il problema è che lo capiscano anche quanti lo rivendicano in modo sterilmente perentorio, rischiando di trasformarlo in un miraggio.