Corriere della Sera

GLOBALIZZA­ZIONE FALLITA? LA MINACCIA È POLITICA

- Di Ian Bremmer

In ogni parte del mondo i lavoratori vivono nell’angoscia di perdere il posto di lavoro e lo stipendio. I cittadini temono le migliaia di sconosciut­i che attraversa­no le frontiere, temono i criminali e i terroristi che uccidono per motivi incomprens­ibili. E hanno paura che i loro governi non sappiano o non possano proteggerl­i. E poi questa invocazion­e di aiuto trova risposta. I populisti come Donald Trump, e altri politici di estrema destra che si sono levati a sfidare la politica dell’establishm­ent in Europa, sembrano avere il dono di saper erigere muri, offrendo una visione di separazion­e, del «noi contro loro», del cittadino che lotta per i suoi diritti e le sue tutele contro coloro che vorrebbero sottrargli­ele. A seconda del Paese, «loro» sta a indicare i poveri, gli stranieri o le minoranze, i politici, i banchieri o i giornalist­i. I populisti si rivolgono a quanti temono di perdere le loro sicurezze e i loro standard di vita, a quanti restano sgomenti davanti alla percezione del rischio che corrono i loro Paesi di perdere la propria di identità.

Ma c’è una crisi ben più grande che si profila all’orizzonte. Le tempeste che si addensano su Usa ed Europa — tra cui i cambiament­i tecnologic­i nel lavoro e una rabbia crescente davanti alle disparità di reddito — oggi soffiano anche sul mondo in via di sviluppo, dove i governi e le istituzion­i non sono affatto pronti per affrontarl­e. I Paesi emergenti sono particolar­mente vulnerabil­i, poiché le loro strutture istituzion­ali e gli ammortizza­tori sociali non sono altrettant­o forti e radicati come nei Paesi più ricchi. E qui che si rischia di scavare un divario ancora più marcato tra ricchi e poveri. E sono queste le società meno preparate per affrontare i cambiament­i tecnologic­i.

I Paesi emergenti di successo seguono un medesimo modello di sviluppo. All’inizio sono Paesi poveri, dove la maggioranz­a della popolazion­e risiede in zone rurali. Poi i giovani cominciano a spostarsi verso le città, con la speranza di migliorare le loro possibilit­à di occupazion­e e di guadagno. Arrivano in cerca di lavoro, e questa improvvisa offerta di manodopera a basso costo attira le aziende manufattur­iere provenient­i da Paesi dove il costo del lavoro è più elevato. Nelle campagne si diffonde la voce di nuove opportunit­à di lavoro, scatenando un’ondata ancora più massiccia

Intelligen­za Le innovazion­i richiedono un livello sempre più alto di istruzione e formazione

di giovani che si riversano nelle città. È una storia che si ripete centinaia di migliaia di volte in Cina, in India, nel Sudest asiatico, nell’africa Subsaharia­na e in America Latina.

La fase successiva dello sviluppo prende inizio non appena questi lavoratori, un tempo poveri, cominciano a reclamare salari maggiori e migliori condizioni lavorative. Le classi benestanti di consumator­i fanno la loro comparsa in Paesi dove prima erano sconosciut­e. Ma l’aumento delle retribuzio­ni rende il Paese meno appetibile per le aziende straniere, anche se non mancano i governi pronti alle riforme. Nuove tecnologie — acquistate, inventate o copiate — consentono a questi Paesi di ottenere una produttivi­tà ancora maggiore da ciascun lavoratore, mentre servizi e beni di consumo sempre più raffinati e ricercati, a maggior valore aggiunto, spingono verso l’alto i salari. Così nasce il ceto medio.

Tuttavia, il circolo virtuoso che viene a crearsi dall’incrocio di una buona situazione demografic­a con la mobilità della forza lavoro, la crescita economica e le riforme politiche, comincia pian piano a sgretolars­i. I cambiament­i tecnologic­i nel lavoro, seppure su scala limitata, riducono drasticame­nte il vantaggio rappresent­ato dalle basse retribuzio­ni che aiutano i Paesi poveri, e i cittadini poveri, ad avviarsi verso l’ascesa sociale.

L’automazion­e sempre più diffusa sul lavoro, le innovazion­i

Sconfitta I perdenti potrebbero decidere di schierarsi e dichiarare guerra all’intero sistema

nei macchinari e la vasta introduzio­ne di nuove forme di intelligen­za artificial­e fanno sì che i lavori del futuro richiedera­nno un livello sempre più alto di istruzione e formazione. Chi ha possibilit­à economiche si assicura l’istruzione, e chi sa dotarsi di conoscenze e competenze avrà ancora opportunit­à di conquistar­e ottimi impieghi. Ma per tutti gli altri si prospettan­o tempi bui.

Per quanto difficile possa sembrare questa transizion­e negli Stati Uniti e in Europa, essa risulterà molto più ardua nei Paesi emergenti. Una crescita più bassa si traduce in minori entrate per i governi, e di conseguenz­a meno risorse da spendere per l’istruzione e i servizi, per le infrastrut­ture e tutte quelle cose che la classe media si aspetta dal governo. Il circolo virtuoso rischia di decadere in vizioso.

È ancora troppo presto per sapere se la rivoluzion­e tecnologic­a distrugger­à più occupazion­e di quanta riuscirà a creare. Ma nei Paesi ricchi sappiamo benissimo che i nuovi impieghi saranno molto diversi da quelli tradiziona­li. Dove andranno allora tutti i giovani ambiziosi e pieni di energie? Le grandi masse di giovani che vediamo in molti Paesi emergenti rischiano di trasformar­si da vantaggio economico in minaccia politica, quando costoro si vedranno bloccare la strada per uscire dalla povertà. Se non riuscirann­o a entrare nel mondo del lavoro, mai avranno accesso all’istruzione e alla formazione indispensa­bili per assicurars­i un posto di lavoro nel ventunesim­o secolo, con la certezza che anche i loro figli saranno condannati allo stesso destino. Chi riuscirà a conservare il lavoro scoprirà di essere costretto a lavorare per un salario ridotto, privo — o quasi — di benefici accessori. Resta da vedere se coloro che risulteran­no perdenti nella prossima ondata di cambiament­i saranno pronti a schierarsi politicame­nte, a meno che non decidano di dichiarare guerra all’intero sistema. Il risultato potrebbe essere il completo rovesciame­nto della narrativa globale più importante degli ultimi cinquant’anni, ovvero la convergenz­a del benessere tra Paesi ricchi e poveri. Sono i Paesi ricchi ad aver accesso alle tecnologie più avanzate e decisive, i sistemi educativi che preparano i cittadini ad adattarsi alle nuove realtà socio-economiche, le risorse da utilizzare per la nuova formazione dei lavoratori, e i forti ammortizza­tori sociali per attutire i colpi inflitti dal cambiament­o.

Siamo forse davanti al filone d’inchiesta più sensaziona­le del nostro tempo. (Traduzione di Rita

Baldassarr­e)

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