Attenti A volte può accecare
C ondannati all’ottimismo, ecco cosa siamo. Vediamo bicchieri mezzi pieni ovunque. Inforchiamo lenti rosa per poi salutarci con un mantra: «andrà tutto bene». Certo, deve andare tutto bene. Ce lo dice il nostro cervello. E ce lo ha dimostrato Tali Sharot, neuroscenziata che ha raccolto dati e ricerche sulla nostra innata tendenza a illuderci in Ottimisti di natura. Perché vediamo il bicchiere mezzo pieno. Le è bastata una risonanza magnetica funzionale per scoprire dall’attività della nostra circonvoluzione frontale inferiore che tendiamo, in sostanza, a sottovalutare (o ignorare) gli aggiornamenti negativi. E se non è così, spostiamo la nuova informazione sugli altri. Il male insomma non ci riguarda. Vivere per noi è un gioco al rialzo delle nostre aspettative positive. Avete presente l’immagine scioccante del tubo infilato in un buco della trachea stampata sul pacchetto di sigarette?
La sfortuna
Il sentirci sempre onnipotenti ci può portare al ritenere di essere sfortunati
Galilei
Il metodo scientifico? Galilei insegna a mantenere un dialogo con la realtà
La ginestra
Ne La Ginestra si condensa il messaggio del grande poeta di Recanati
Ecco: potrà accadere agli altri, noi possiamo tranquillamente continuare a fumare.
Non moriremo di ingenuità, fermi tutti. L’ottimismo ci salva, e lo fa al netto delle sigarette. Ci salva perché ci seda l’ansia e l’angoscia, ci aiuta a progettare il futuro, cosa che un depresso non riuscirebbe a fare (e la prospettiva temporale è ciò che contraddistingue il cervello dell’homo Sapiens Sapiens). L’ottimismo è necessario alla sopravvivenza e forse per questo è cablato proprio al cervello. Ma oggi è anche dopato: dalla tecnologia che ci fa sentire onnipotenti e in grado - in tre secondi - di comprare desideri e incontrarci. E allora cosa ci sfugge?
L’ottimismo non basta: ecco la notizia. Serve realismo, per non sentirsi perseguitati dalla sfortuna o chissà da quale nemico. Serve imboccare una strada asfaltata e a due corsie che ci porti dritti a una meta: la gratitudine, roba molto diversa ma molto più consistente e sana della felicità. Significa smettere di sognare? No, il realismo include già la fase entusiastica del sogno. Significa solo che noi non siamo al centro dell’universo e che non siamo onnipotenti. «La vita non è un gattino che ci fa le fusa, è una magnifica tigre che può anche fare molto male. E noi siamo vulnerabili. Attenti all’ottimismo, allora. Ci fa sottovalutare rischi e difficoltà. Il realismo ci invita invece a organizzarci al meglio: prima attraverso una lettura della realtà e poi attraverso un piano strategico verso ciò che ci sta a cuore», precisa Gianfranco Damico, formatore da vent’anni e autore de Il potere dei realisti (Feltrinelli), saggio brioso che fa l’occhiolino a Galileo Galilei perché ci prescrive un metodo (scientifico). Ovvero: serve mantenere un dialogo costante con la realtà, ci dice, perché è tra dati e costanti verifiche empiriche che oggi possiamo svegliarci a Tokyo, prendere un aereo e dormire la notte a Siracusa (città dell’autore). Nessuna spiritualità, nessun processo artistico, nessun idealismo avrebbe mai potuto concepire tutto ciò. Anche il realista però immagina, si appassiona, e magari lo fa poeticamente. Ma poi trasforma tutto in un piano razionale e potente. E Galilei, nel libro, non è tutto. C’è ‘gna Concetta, una delle tante vecchiette siciliane depositarie di una saggezza da tramandare: serve quatalarisi, dice lei. Cautelarsi. Guardare il mondo attrezzandosi: restare aperti, col sorriso, ma combattere le battaglie e godere quando finiscono. E la fede? Può aiutare ma non sostituire. Damico cita una storiella sufi: un maestro e un discepolo sono in viaggio, l’uno chiede all’altro di legare il cammello la sera prima di dormire. Il giorno dopo il cammello non c’è. La spiegazione del discepolo è che lui l’ha affidato ad Allah quindi bisognerebbe interpellare lui. Il maestro, poco calmo, gli risponde: fidati di Allah, ma prima lega il tuo cammello, Allah ha solo le tue di mani! Il maestro in questione è realista: se vuoi che le cose vadano in un certo modo, organizzati e agisci. «E chi meglio di Leopardi è riuscito a farlo?», aggiunge Damico. «Abbiamo chiamato pessimismo il suo sguardo lucidissimo su ciò che è la condizione umana. Ma è stata questa lucidità che gli ha permesso di espandere il suo amore per la vita, godere di ogni prezioso attimo e odiare il pensiero superficiale. Leopardi da ottimista intelligente, nonché realista, ci ha però avvertiti alla fine con La ginestra: cercate la felicità ma sappiate che i nostri destini sono interconnessi, non si può vincere a lungo e pienamente se attorno a noi troppi vivono nell’ingiustizia».