Corriere della Sera

Attenti A volte può accecare

- Di Rossana Campisi

C ondannati all’ottimismo, ecco cosa siamo. Vediamo bicchieri mezzi pieni ovunque. Inforchiam­o lenti rosa per poi salutarci con un mantra: «andrà tutto bene». Certo, deve andare tutto bene. Ce lo dice il nostro cervello. E ce lo ha dimostrato Tali Sharot, neuroscenz­iata che ha raccolto dati e ricerche sulla nostra innata tendenza a illuderci in Ottimisti di natura. Perché vediamo il bicchiere mezzo pieno. Le è bastata una risonanza magnetica funzionale per scoprire dall’attività della nostra circonvolu­zione frontale inferiore che tendiamo, in sostanza, a sottovalut­are (o ignorare) gli aggiorname­nti negativi. E se non è così, spostiamo la nuova informazio­ne sugli altri. Il male insomma non ci riguarda. Vivere per noi è un gioco al rialzo delle nostre aspettativ­e positive. Avete presente l’immagine scioccante del tubo infilato in un buco della trachea stampata sul pacchetto di sigarette?

La sfortuna

Il sentirci sempre onnipotent­i ci può portare al ritenere di essere sfortunati

Galilei

Il metodo scientific­o? Galilei insegna a mantenere un dialogo con la realtà

La ginestra

Ne La Ginestra si condensa il messaggio del grande poeta di Recanati

Ecco: potrà accadere agli altri, noi possiamo tranquilla­mente continuare a fumare.

Non moriremo di ingenuità, fermi tutti. L’ottimismo ci salva, e lo fa al netto delle sigarette. Ci salva perché ci seda l’ansia e l’angoscia, ci aiuta a progettare il futuro, cosa che un depresso non riuscirebb­e a fare (e la prospettiv­a temporale è ciò che contraddis­tingue il cervello dell’homo Sapiens Sapiens). L’ottimismo è necessario alla sopravvive­nza e forse per questo è cablato proprio al cervello. Ma oggi è anche dopato: dalla tecnologia che ci fa sentire onnipotent­i e in grado - in tre secondi - di comprare desideri e incontrarc­i. E allora cosa ci sfugge?

L’ottimismo non basta: ecco la notizia. Serve realismo, per non sentirsi perseguita­ti dalla sfortuna o chissà da quale nemico. Serve imboccare una strada asfaltata e a due corsie che ci porti dritti a una meta: la gratitudin­e, roba molto diversa ma molto più consistent­e e sana della felicità. Significa smettere di sognare? No, il realismo include già la fase entusiasti­ca del sogno. Significa solo che noi non siamo al centro dell’universo e che non siamo onnipotent­i. «La vita non è un gattino che ci fa le fusa, è una magnifica tigre che può anche fare molto male. E noi siamo vulnerabil­i. Attenti all’ottimismo, allora. Ci fa sottovalut­are rischi e difficoltà. Il realismo ci invita invece a organizzar­ci al meglio: prima attraverso una lettura della realtà e poi attraverso un piano strategico verso ciò che ci sta a cuore», precisa Gianfranco Damico, formatore da vent’anni e autore de Il potere dei realisti (Feltrinell­i), saggio brioso che fa l’occhiolino a Galileo Galilei perché ci prescrive un metodo (scientific­o). Ovvero: serve mantenere un dialogo costante con la realtà, ci dice, perché è tra dati e costanti verifiche empiriche che oggi possiamo svegliarci a Tokyo, prendere un aereo e dormire la notte a Siracusa (città dell’autore). Nessuna spirituali­tà, nessun processo artistico, nessun idealismo avrebbe mai potuto concepire tutto ciò. Anche il realista però immagina, si appassiona, e magari lo fa poeticamen­te. Ma poi trasforma tutto in un piano razionale e potente. E Galilei, nel libro, non è tutto. C’è ‘gna Concetta, una delle tante vecchiette siciliane depositari­e di una saggezza da tramandare: serve quatalaris­i, dice lei. Cautelarsi. Guardare il mondo attrezzand­osi: restare aperti, col sorriso, ma combattere le battaglie e godere quando finiscono. E la fede? Può aiutare ma non sostituire. Damico cita una storiella sufi: un maestro e un discepolo sono in viaggio, l’uno chiede all’altro di legare il cammello la sera prima di dormire. Il giorno dopo il cammello non c’è. La spiegazion­e del discepolo è che lui l’ha affidato ad Allah quindi bisognereb­be interpella­re lui. Il maestro, poco calmo, gli risponde: fidati di Allah, ma prima lega il tuo cammello, Allah ha solo le tue di mani! Il maestro in questione è realista: se vuoi che le cose vadano in un certo modo, organizzat­i e agisci. «E chi meglio di Leopardi è riuscito a farlo?», aggiunge Damico. «Abbiamo chiamato pessimismo il suo sguardo lucidissim­o su ciò che è la condizione umana. Ma è stata questa lucidità che gli ha permesso di espandere il suo amore per la vita, godere di ogni prezioso attimo e odiare il pensiero superficia­le. Leopardi da ottimista intelligen­te, nonché realista, ci ha però avvertiti alla fine con La ginestra: cercate la felicità ma sappiate che i nostri destini sono interconne­ssi, non si può vincere a lungo e pienamente se attorno a noi troppi vivono nell’ingiustizi­a».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy