Il lusso dei millennial? Rap e graffiti nel tunnel londinese della street art
La capsule di Fendi (che debutta online) riscrive la storia del logo aziendale
Un tunnel lungo trecento metri sotto la stazione di Waterloo, a pochi passi dal Tamigi. Un luogo segreto di Londra, la repubblica indipendente degli street artist nel cuore della capitale della monarchia più famosa del mondo. Graffiti, graffiti, graffiti: un universo di colori esplosivi, di forme, di commenti: un laboratorio di idee, di commenti visivi spesso ancora profumati di vernice in un mondo dove le immagini vengono più che altro trasportate dai pixel dei nostri telefoni e dei nostri computer. Il tunnel di Leake Street a Lambeth, detto anche «il tunnel di Banksy» dove c’è libertà di graffiti, nessuna conseguenza legale, nessuna multa, nessun poliziotto con il potere di fermare un nuovo work in progress. Un luogo di libertà.
Fendi ha ricreato il suo simbolo — uno dei loghi più famosi del mondo, non soltanto della moda — guardando all’eredità della sua storia e allo stesso tempo al futuro della maison: il nuovo pubblico — i nuovi clienti, quelli del presente e soprattutto del futuro — cioè i millennial. E allora Qui sopra: la festa di Londra A destra: tre loghi «vintage» di Fendi (1983, 1970, 1985) ecco una notte tutta per loro, una festa nei tunnel di Waterloo, il Leake Street Tunnel con il logo Fendi reinventato dagli artisti di strada, e dentro la musica dei dj, le celebrity (soprattutto rapper).
Un debutto pubblico da ricordare per il nuovo Ceo di Fendi, Serge Brunschwig, appena arrivato nell’azienda romana ma con un curriculum extralusso nel gruppo Lvmh (Céline, Christian Dior Couture, Dior Homme).
È stata la festa, l’altra sera, di «FF Reloaded», una capsule collection nelle boutique Fendi dal 14 maggio (con un’anteprima, ma non dell’intera capsule, sull’e-commerce di Net-à-porter) di ready to wear e accessori, con il logo proposto anche in una nuova versione bianca e nera.
Proprio il logo, nato nel 1965, è stato il re della serata londinese: negli archivi della maison romana ci sono pressoché infinite variazioni sul tema (e se Karl Lagerfeld non fosse abituato a gettare nel cestino le cose già realizzate, tanto è proiettato da sempre nel futuro, ce ne sarebbero stati ancora di più) e tutti questi loghi sono riapparsi alla festa. Grafici, ironici, romantici: Fendi attraverso gli ultimi cinque decenni.
«Attraverso la moda raccontiamo noi stessi, prima ancora di parlare. Ma la moda ora viene dalla strada, non dalla stanza dei bottoni degli stilisti. Così Fendi negli anni ‘70 era un marchio di lusso ma oggi lo accosti tranquillamente alla t-shirt della Dhl (lo spedizioniere: è una trovata dei provocatori del marchio Vetements, ndr) e un pantalone Adidas. Ecco, a me diverte molto — spiega Silvia Venturini Fendi, direttore creativo e rappresentante della terza generazione della famiglia fondatrice —. Oggi c’è una filosofia non più legata alla dimostrazione del valore dell’oggetto, ma legata a quello che ti piace. E quello che ti piace oggi, se sei un ragazzo o una ragazza, ti piace perché piace a te, non ti piace perché è figo o perché qualcuno ti ha fatto capire che è figo. Capisco che questo clima preoccupi qualcuno, ma per noi resta alla base di tutto una storia lunga quasi un secolo, la qualità del lavoro e della manifattura. Siamo un’azienda aperta, una famiglia numerosa abituata a parlare tantissimo, a tavola: per discutere, dialogare. Da Fendi si è sempre respirata aria di inclusione. Di libertà».